FAQ – Come effettuare un massimale

Il massimale di un esercizio di pesistica è il massimo carico sollevabile per una ripetizione rispettando i canoni dell’esercizio stesso. In questo caso indicheremo questo carico come 100% 1RM, cioè il 100% di “one repetition maximum”.
Estendiamo un po’ il concetto e definiamolo come il massimo carico sollevabile per un numero di ripetizioni prefissato, che chiameremo 100% XRM dove X è il numero di ripetizioni stabilito.
Per testarsi su questo tipo di prove non entriamo in palestra e schiantiamo sul bilanciere i Kg che ci servono, ci ficchiamo sotto e pompiamo abbestia. Provate, un carico dell’80% di quanto normalmente utilizzate vi polverizzerà al suolo.
Ognuno di noi ha in testa che per provare un certo peso dovrà svolgere un lavoro di avvicinamento a pesi inferiori, quello che si chiama riscaldamento. Il riscaldamento ha due obbiettivi: uno generale e uno specifico.
Come obbiettivo generale c’è proprio il “riscaldare” il corpo, farlo salire leggermente di temperatura, ammorbidire i muscoli e renderli più plastici e meno rigidi diminuendo la viscoelasticità, favorire l’ossigenazione con il cuore che sale di battiti e il sangue che viene pompato nei capillari muscolari.
Tutto questo è possibile tramite una corsetta, un po’ di stretching, della cyclette, dei movimenti morbidi o, semplicemente, eseguendo un po’ di movimenti dell’esercizio che andrete a testare con pesi molto blandi.
La prima parte del riscaldamento non è cioè niente di particolare e potete effettuarla come vi pare. Dovete sentire che il vostro corpo è caldo, uniformemente, e iniziate a essere meno legati.
Tanto per dare un’immagine, è inverno e entrate in palestra infreddoliti alle mani, vi cambiate e continuate ad avere un po’ di freddo diffuso, con aree tipo la faccia o la pancia più calde. Al termine della prima parte del riscaldamento dovete essere uniformemente caldi, leggermente sudati e tutte le sensazioni di non sentirsi a proprio agio devono essere svanite.
La seconda parte è quella specifica per il massimale che dovete fare. Potreste a questo punto caricare il peso ed eseguire il massimale e il vostro corpo non si infortunerà, ma… non funziona così: il vostro cervello ha bisogno di adattarsi al carico, di capire che può spostarlo, di assimilare il movimento. Per questo avete bisogno di tutte le serie a peso crescente proprio per “saggiare” il carico stesso.
Poiché ogni cervello è diverso si capisce che le tattiche di avvicinamento possono essere radicalmente differenti da individuo ad individuo, e infatti è così. Alla fine ognuno sviluppa il suo personale modo di avvicinarsi ai carichi massimali, perciò se già lo avete, inutile che leggiate.
I comportamenti possono essere anche assurdi o illogici, perchè il riscaldamento diventa un rituale più che un protocollo. Tanto per dire, c’è chi la cintura se la mette solo sopra certi Kg, oppure chi si lega le fibbie delle scarpe da pesistica solo dopo una data serie, chi usa la presa prona nello stacco e passa alla mista solo sopra certi Kg.
Io ad esempio prima del massimale devo fare un giro intorno alla casa (se sono in campagna eh non del condominio) e lo faccio anche se piove: mi aiuta a visualizzare la prova anche se sembro un perfetto alienato perchè parlo anche da solo.
Avete visto la scenetta di Fantozzi al casinò? Quella dove il suo capo vince al gioco mentre Fantozzi gli ha messo una mano sotto al culo e allora deve tenercela per tutte le giocate perchè gli ha portato bene? Ecco, una cosa del genere.

Ci sono tabelle con percentuali che possono guidare nella scelta dei carichi, ma alla fine non tengono conto della differenza fra esercizio ed esercizio. Approssimativamente, potete seguire questa strada:

  • Utilizzate al massimo 6 serie prima del massimale
  • Utilizzate fra le serie incrementi di circa il 10%, e fra l’ultima e il massimale un incremento dal 5% al 10%
  • Se testate un massimale su una singola o su una doppia ripetizione la penultima e l’ultima di riscaldamento sono serie singole
  • Se testate un massimale su una tripla o su una quadrupla ripetizione la penultima e l’ultima di riscaldamento sono serie doppie
  • Se testate un massimale su serie che durano più di 4 ripetizioni la penultima e l’ultima di riscaldamento sono serie triple
  •  Per ogni serie prima della penultima aggiungete 1 ripetizione, perciò se state usando singole nella penultima dovrete avere una progressione di ripetizioni di questo tipo nelle prime 4 serie: 5-4-3-2

Aggiungo anche queste regoline, poco professionali:

  • Arrotondate i Kg ai 5Kg più vicini, non siate ridicoli con pesi del tipo 123.7Kg o 99.4Kg, e se non vi piacciono le ripetizioni, mettete le vostre.
  • Scrivete su un foglio la vostra idea, e sentitevi liberi di cambiarla sul momento
  • Ricordatevi che il riscaldamento è una preparazione al test, non il test. Non è allenante riscaldarsi con volumi assurdi, è solo stupido. Se avete paura di essere “freddi”, aumentate le ripetizioni nelle prime serie, ma tenete il minimo indispensabile per le ultime.
  • Come riferimento, recuperate 3′ fra le serie: meno per le prime, un po’ di più per le ultime. Diciamo che fra l’ultima e il test devono passare 4′ al massimo. Non fate diventare il massimale una prova epica che richiede la concentrazione di un samurai: se aspettate troppo vi cacherete addosso (sono troppo tecnico?) perchè inizierete a pensare a quanto il bilanciere sia… pesante. Grinta, decisione, poi gas in curva e pedalare senza rompere tanto.
Il motivo per cui faccio due palle con le ripetizioni delle ultime due serie in funzione del numero di ripetizioni del massimale è dovuto al fatto che dovete preparare il vostro corpo per l’”evento”. Se testate una singola, scopo del riscaldamento è di far capire al vostro sistema nervoso che il carico è impegnativo ma che non si discosta molto dai soliti che normalmente utilizzate, ma se testate un record su 5 ripetizioni dovete anche far capire al vostro corpo che il peso è fattibile per più volte.
Provate un record nello squat a 20 ripetizioni, scaldandovi a singole. Quando partite per il record alla 5° ripetizione siete con il fiatone. Se invece nel riscaldamento usate delle triple il fiatone inizierà durante queste prove, e le pulsazioni si stabilizzeranno correttamente prima della prova stessa. Non sto a dire che il fiatone nel riscaldamento deve essere lieve e dovete recuperare a pieno per il test finale. Anzi, lo dico…

Ok, facciamo un esempio che è meglio. Supponiamo che voi abbiate 125Kg di squat e vogliate provare 130Kg. Applichiamo le regolette descritte qua sopra ed otteniamo

Ok, questa è l’idea, il risultato è decente, ora rendiamolo più spendibile
Ho arrotondato tutto ai 5Kg più vicini, e infatti per testare i 130 è bene provare i 120. Avrei anche potuto testare i 125Kg invece dei 120, ma questo dipende da che tipi siete voi: c’è chi ha bisogno di confermare il vecchio massimale per essere sicuro di provare il successivo, chi invece detesta farlo perchè magari non gli viene come vorrebbe.
Personalmente, a seconda di come sto scelgo l’una o l’altra strada. Mai mi sognerei di provare un massimale di squat senza una passatina al vecchio, mentre nello stacco posso saltare questo onere.

Leggendo meglio il resto della tabella, per come sono fatto io i salti da 105 a 120 e da 90 a 105 non mi piacciono. Perciò, ecco come farei (ah… ho messo una serie da 6 come prima, ma solo perchè mi piace poco il 5)

“Ma… hai scalato di 10Kg all’indietro, e il 10% dove è andato a finire?”
Ma è molto semplice: per essere ascoltati ci vuole un po’ di scientismo, di cose rese complesse! Se avessi detto: scegli i Kg che vuoi testare e vai indietro di 5Kg o 10Kg a seconda di come pensi sia meglio… chi mi avrebbe ascoltato?
No, ci vuole la tabellina, l’elenco puntato, magari un grafico e di sicuro una citazione di qualche studio scientifico che abbia citati nomi tipo Igor Abadajevsky ah ah ah. Ma, alla fine, il punto è che per pesi da 80Kg a 120Kg il 10% va da 8Kg a 12Kg, e in palestra per praticità si usano 10Kg perchè sono 2 rotelle da 5. Che risultato volete che venga…
Facciamo un altro esempio per chiarire,Voglio provare 80Kg di massimale di panca. Riporto sia i conteggi brutali, sia altre due idee
Anche in questo caso, scalare di 5Kg in 5Kg come nella 2° idea porta ad una soluzione ragionevole. Parto da 40Kg perchè 30 è troppo poco. La 3° idea è per chi vuole testare 75Kg. Semplicemente, si trasla di 5Kg tutto verso l’alto.
In questo caso un incremento del 5% sarebbe stato più appropriato, ma dato che alla fine devo poi arrotondare, tanto vale lasciare l’idea inalterata.

Provo con un test a 220Kg sullo stacco

Anche qui, la 1° idea è quella data dalla regoletta, la seconda una più plausibile. In questo caso ho semplicemente arrotondato i Kg, e se dovessi provare io i 220Kg farei proprio così. In questo caso ciò è dovuto al fatto che dai 180Kg ai 220Kg il 10% va da 18Kg a 22Kg, cioè in palestra 2 rotelle da 10Kg per parte.
Perciò, utilizzate questa FAQ come una traccia (potete usarla anche per il riscaldamento in allenamento), ma cercate di sviluppare il vostro personale rituale preparatorio. Come affrontare un massimale è un”problema” per i principianti, e chiunque abbia fatto salire un po’ il suo massimale ha già sviluppato la sua strategia.
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Anatomia di una ripetizione – Parte 6 – I like DOMS

Ripensando a quando ero piccolo, mi accorgo che sarei stato un candidato perfetto per una tesi del tipo “il bambino con problemi – cercare il dolore fisico, perchè?”.
Mi ricordo i martedì in terza superiore, quando in classe iniziavano i dolori dell’allenamento precedente e piano piano mi paralizzavo sulla sedia via via che le ore di lezione passavano. All’intervallo le prime avvisaglie, l’ultima ora anche a sedere ogni movimento iniziava ad essere doloroso. All’uscita da scuola le gambe erano andate.
Che spettacolo… l’allenamento del giorno prima aveva dato i suoi frutti, e questo dolore mi rendeva soddisfatto: il piccolo guerriero con gli occhiali Paolino aveva compiuto il suo dovere nell’eterna battaglia combattuta a colpi di ripetute in pista.
DOMS, dolori post allenamento. Questa sigla mi è sempre piaciuta, riesce ad evocarmi DOOM, il videogioco ossessivo che non mi faceva dormire se non finivo il quadro, oppure Victor Von Doom, il Dottor Destino dei Fantastici Quattro, non quello cagoso del film, quello vero dei fumetti.
A 16 anni, fino ad arrivare ai 40, i DOMS mi hanno sempre accompagnato, penso di essere diventato dipendente da queste sensazioni, come drogato. Ma… non sono solo. So benissimo che state sghignazzando in un moto d’approvazione.
I DOMS sono la cicatrice che l’allenamento ci lascia. Derivano dall’allenamento, perciò sono associati in un connubio strettissimo, quasi causale: mi alleno alla grande, ho DOMS alla grande.
Ma quello che conta non è l’affermazione “dritta”, ma quella “rovesciata”: ho DOMS alla grande, mi sono allenato alla grande. E ancor di più la negazione di questa: non ho DOMS o ne ho pochi, mi sono allenato male.
Il dolore come sacrificio è un classico della palestra, più di vomitare in allenamento, o di macinare ripetizioni mentre si annega nell’acido lattico. Potremmo lanciarci in disquisizioni di antropologia della palestra, tipo far discendere i pesi dall’archetipo della guerra, il valore simbolico del bilanciere come arma o, in ottica freudiana, come simbolo fallico. Avete notato che qualsiasi fottutissima cosa è un simbolo fallico per alcuni psicologi? Attenti a quando bevete dalla bottiglia, non sia mai che stiate manifestando una omosessualità latente…
Potremmo lanciarci in questo ed altro, ma sono tutte cazzate che conosciamo così bene da darle per scontate.
Il punto è questo: i DOMS forniscono indicazioni sul fatto che mi sono allenato bene o no? E poi, più semplicemente, cosa sono i DOMS?
Non è così semplice come sembra
Per prima cosa, la definizione. DOMS sta per Delayed Onset Muscular Soreness, dolori muscolari ad insorgenza ritardata. I DOMS sono un effetto dell’allenamento, perciò c’è una correlazione fra allenamento e DOMS, ma come sempre “correlazione” non significa “causalità”.
Attenzione perchè il passaggio è più delicato di quanto sembri e alla fine ognuno associa il dolore all’efficacia dell’allenamento e perciò il dolore a “diventare grossi e/o forti”.

Che l’entità dei DOMS non sia correlata all’efficacia dell’allenamento è facilmente deducibile, perciò se non volete leggere il resto, fermatevi ai prossimi paragrafi ma memorizzateli per sempre. Due esempi:

  • Sto fermo 6 mesi, poi inizio ad allenarmi. I primi giorni sono assolutamente devastato. Perciò in questi giorni il mio programma di allenamento è efficace al massimo e sto crescendo alla grande. Tutti sanno che è una idiozia assoluta. Però estendete il concetto: se i DOMS fossero legati all’efficacia dell’allenamento, allora i principianti o chi si allena poco o chi rientra da un infortunio dovrebbero avere dei risultati esorbitanti, e meno coloro che si allenano con costanza, che hanno meno DOMS. Allenatevi molto infrequentemente, avrete sempre i DOMS, state migliorando. Ok, credeteci, buona fortuna!
  • Mi piazzo sulla bicicletta e pedalo per 4 ore di fila, oppure corro a piedi per 2 ore o scendo 10 rampe di scale per 10 volte. Il giorno dopo ho i quadricipiti a pezzi, dolenti in ogni millimetro quadrato. Non solo, mi fanno male le ossa e le articolazioni. Più di quanto otterrei con un 3×8 di squat agonizzante. Se siete convinti di questo, sostituite il vostro squat con le scale al contrario, ma allenatevi così quando nessuno vi guarda, vi prego.
Perciò c’è di più.
Il primo studio sui DOMS è del 1902 (!!), e l’autore portava come spiegazione del fenomeno un “danno alle strutture muscolari”. Sembra incredibile, ma nel 2008 ancora nessuno riesce a spiegare con sicurezza cosa siano i DOMS, sebbene la teoria del danno alle strutture muscolari sia quella che viene accettata in ambito accademico: sono affascinato dal fatto che un fenomeno così frequente, ricorrente, osservabile da tutti non abbia una spiegazione compiuta e assolutamente definita.
Ahia, fa male!!
Tutti sperimentiamo il dolore in una qualche forma, e tutti abbiamo idea del perchè questo esista: è un modo per avvertirci che qualcosa non va. Una definizione più rigorosa è la seguente: “una spiacevole esperienza sensoriale ed emozionale associata da un danno ai tessuti presente o potenziale o descritta in termini di questo danno”.
E’ chiaro che la definizione avendo carattere generale rimane molto sul vago, e molto andrebbe aggiunto. Ad esempio, se la funzione del dolore è quella di avvertirci di un pericolo, dovrebbe accadere prima che l’evento pericoloso porti a danni irreversibili e l’entità del dolore stesso dovrebbe essere proporzionale al pericolo.
Quello che accade, invece, è che il dolore può insorgere anche quando non è presente un oggettivo stimolo pericoloso, e che l’entità del dolore stesso sia estremamente variabile, sia a parità di “pericolo”, sia come percezione in se: il dolore è influenzato dal carattere, dall’ambiente culturale, dal mio stato emotivo, da 2000 aspetti.
Nel caso dei DOMS viene definita una scala di percezione del dolore post allenamento, che è affetta da tutti i problemi sopra riportati. Tanto per dire, ci sono studi che mostrano come le stesse persone assegnino un valore di “intollerabile” ai dolori di oggi e allo stesso tempo a quelli di domani, pur affermando che sono più intensi. Comunque sia, un incrocio di metodi di registrazione delle sensazioni dolorose porta ad un buon grado di attendibilità.
Chi segnala che sentiamo male

Mi sembra scontato dire che gli stimoli potenzialmente pericolosi vengono comunicati al nostro cervello sotto forma di “dolore” da delle terminazioni nervose: il sistema nervoso è bovinamente assimilabile ad un insieme di sensori, di elaboratori e di attuatori perciò il dolore può essere interpretato come uno speciale segnale inviato al cervello perchè questo agisca in qualche modo.

Considerate l’influenza del dolore nella vita dell’Uomo e capirete quanta attenzione possa esserci al riguardo. Dei DOMS quanto fregherà alla comunità scientifica?
Esistono delle fibre nervose che sono chiamate nervi a terminazione libera, cioè non sono dotati del rivestimento nell’estremità, risultando sensibili a certi tipi di stimoli. Queste fibre sono dette nocicettori, cioè recettori di stimoli nocivi. Ce ne sono di sensibili agli stimoli termici, meccanici, chimici e sono distribuiti in tutto il corpo, dai nocicettori cutanei a quelli presenti negli organi interni.
I nocicettori muscolari sono collocati lungo le pareti dei capillari e nel tessuto connettivo muscolare, mentre non sono presenti all’interno delle fibre muscolari. E’ interessante notare che ogni nocicettore ha una sua area bersaglio, e se lo stimolo doloroso non è nell’area di influenza il dolore non viene percepito. Per questo molto spesso il dolore a seguito di uno strappo muscolare non viene percepito in proporzione al danno stesso.
Gli studi evidenziano che il dolore muscolare non è attivato da un danno muscolare, quanto da un cambiamento chimico indotto da questo nell’ambiente in cui si trova il tessuto muscolare, che abbassa la soglia di percezione del dolore.
E’ noto a tutti che si percepiscono i DOMS solo quando ci muoviamo, non quando siamo a riposo, anche se il danno muscolare c’è comunque. Se il dolore fosse dovuto al danno muscolare in se dovremmo provare dolore sempre.
In nocicettori sono collegati alla corteccia cerebrale tramite dei neuroni che attraversano la spina dorsale, che non va vista come un semplice bus tipo quello del computer. I motoneuroni di secondo livello presenti nella spina dorsale recepiscono le informazioni dei nocicettori per reagire prontamente, ad esempio quando appoggiate un piede nudo su una superficie troppo calda o appuntita e istantaneamente lo ritraete: il movimento è generato a livello spinale per essere più veloce rispetto ad una elaborazione “cosciente” data dal cervello.
In più è possibile effettuare, sia nella spina che nel cervello stesso, una modulazione del dolore. Il sistema nervoso ha la capacità di generare sostanze simili agli oppiacei per auto-anestetizzarsi in situazioni in cui è necessario non tenere conto degli stimoli pericolosi dell’ambiente esterno. In situazioni dove è richiesto il massimo impegno muscolare (in gara o in fuga da una sfera di pietra che ci vuole schiacciare) le contusioni, le ferite o gli infortuni muscolari passano in secondo piano e il dolore non viene percepito.
Già da qui si può capire perchè, pieno di DOMS alle gambe, posso scaldarmi e fare squat alla morte e i dolori svaniscono, sebbene temporaneamente: il segnale di un problema all’interno del corpo dato dai DOMS è meno importante del segnale che mi invia l’ambiente dato dal bilanciere che mi schiaccia, perciò il cervello bypassa i DOMS disattivando il dolore muscolare.
Preciso ancora che la complessità dei meccanismi del dolore è immensa, e la mediazione fra potenziale stimolo dannoso e dolore recepito dal cervello passa attraverso una cascata enorme di sostanze di cui non facciamo menzione: il “sensore” che invia scarichette elettriche al cervello è da intendersi come modello ultrasemplificato di qualcosa di terrificantemente complicato eh…
Ci siamo allenati, due giorni dopo siamo triturati
Entrando nel dettaglio, quando parliamo di DOMS come effetto dell’esercizio fisico, possiamo distinguere due fasi principali: la prima ed immediata è quella del danno muscolare causato dall’esercizio, la seconda e prolungata è quella dell’attività di recupero e rimodellazione del tessuto muscolare danneggiato.
Perciò, a seguito del danno inizia un processo infiammatorio necessario al restauro della situazione pregressa, anche se l’interazione fra infiammazione e cambiamenti strutturali non è chiara.
Il danno muscolare è associato alla rottura dei sarcomeri in prossimità dei dischi Z (le pareti di contatto fra sarcomeri contigui) con fuoriuscita di materiale cellulare nel sangue e nei tessuti circostanti. Il muscolo si gonfia, perde forza, diminuisce il ROM cioè l’arco di movimento possibile, e insorgono i DOMS.
La quantificazione di questi elementi porta ad un quadro più chiaro di cosa accada in presenza di danno muscolare causato dall’esercizio. In particolare possiamo misurare i livelli di sostanze fuoriuscite dai muscoli presenti nel sangue, come dei marker.

In particolare viene tracciato il quantitativo di creatinakinasi (CK), una proteina specifica dei muscoli che viene così associata ad un danneggiamento dei tessuti. Le persone che hanno problemi di colesterolo e assumono statine per regolarizzarlo devono tenere sotto controllo la CK perchè le statine possono indurre la rabdomiolisi, una degenerazione dei muscoli che porta proprio ad un incremento della CK che risulta così essere l’indicatore principale da monitorare.

In questi grafici tanto carini ho riportato un andamento qualitativo delle grandezze in gioco. Le misurazioni sono ad intervalli di 24 ore, dove P indica la situazione preesistente all’esercizio e lo zero il periodo successivo all’esercizio stesso. Mi raccomando: con “qualitativo” intendo dire che non ho messo sull’asse verticale l’unità di misura e i valori di riferimento, e che dovete concentrarvi sulla forma generale delle curve, che poi certe grandezze siano normalizzate al 100% o si misurino in nanomoli per litro non è in questo momento rilevante.
I grafici evidenziano che c’è una perdita di forza che viene recuperata, una diminuzione del ROM, un incremento della CK e della mioglobina (un’altra proteina specifica dei muscoli che si riversa nel sangue), un aumeto della circonferenza e l’insorgenza dei DOMS.
Tutto da manuale.

Ma c’è un aspetto fondamentale, e sorprendente per certi aspetti, rappresentato da questo grafico che mi ricorda molto i fogli di Burda che usava la mia mamma per tagliare le sagome dei vestiti.

Ho semplicemente riportato in un unico grafico tutte le curve pallinate dei grafici precedenti (meno quella della mioglobina). A parte il gran casino, quello che si nota è che risulta difficile stabilire una relazione causale fra i parametri:

  •  Il recupero della forza è molto avanzato quando i DOMS sono nella loro fase di massima espressione.
  • I DOMS diminuiscono quando la CK (che rappresenta il danno muscolare) ha il suo picco, idem per il gonfiore muscolare.
  • Il ROM ha un recupero repentino quando i livelli di forza sono molto lontani da essere ristabiliti.
Per questo associare i DOMS al recupero può essere pericoloso. E’ cioè assodato che i DOMS non sono correlati in maniera stretta con gli altri parametri.
Complichiamo ancora di più la situazione

In situazioni dove le variabili in gioco si comportano senza un legame evidente i ricercatori cercano di parcellizzare il problema, bloccando alcuni elementi e cercando di capire come interagiscono altri. Cercano, cioè, di semplificare.

Ci sono studi che confrontano i parametri fra soggetti allenati e non allenati. Un soggetto allenato ha una minor perdita di forza ed un recupero più veloce a seguito di un allenamento rispetto ad uno non allenato, mentre i livelli di DOMS sono assolutamente paragonabili.
La perdita di forza è connessa al danno muscolare, perciò a parità di DOMS i due soggetti sperimentano un diverso danno muscolare. Ciò significa che non è esatto correlare i DOMS al danno muscolare stesso, perciò all’efficacia dell’allenamento.
Analogamente, sullo stesso soggetto l’uso di carichi differenti può portare a stessi DOMS quando il danno muscolare è molto diverso.
Infine, la percezione dei DOMS cambia a seconda del gruppo muscolare utilizzato.
Ci sono altri studi che fanno vedere come allenarsi con i DOMS porta alla loro scomparsa temporanea per poi farli tornare fuori dopo la seduta. Se i carichi sono leggeri non c’è nemmeno influenza nel processo di recupero.
Come nota di precisazione, in tutti gli studi viene sempre fatto riferimento ad esercizi eccentrici affermando che provocano più danno muscolare rispetto a quelli concentrici, ma credo che a questo punto sia chiaro come relazionare uno studio scientifico con la realtà di quello che facciamo noi: una mediazione attenta delle informazioni in modo da non estrapolare conclusioni non corrette.
Giù nel profondo della Supercompensazione
Dài… sbilanciamoci! Proviamo a legare il mondo microscopico con quello macroscopico.
Ritorno in palestra dopo una pausa, mi alleno nello stacco in 3×6 con un carico decente, diciamo “da rientro”. Nei giorni successivi sono un po’ demolito. Rifaccio lo stacco la settimana successiva, sempre il solito 3×6 con lo stesso peso dato che sono in ripresa. I DOMS sono assenti o molto meno intensi.

A chiunque è capitato. Ma… perchè succede? Abbiamo sperimentato quello che si chiama repeated-bout effect o, se vogliamo, l’effetto della serie ripetuta. Se andassi ad analizzare tutti le variabili che ho precedentemente descritto, vedrei che non solo i DOMS sono migliorati, ma anche tutti gli altri parametri.

Mi alleno, ho una perdita di performance che viene rappresentata nella curva della supercompensazione con un andamento decrescente, poi ho il recupero e il mio corpo si porta ad un livello superiore.
La supercompensazione è una rappresentazione macroscopica che condensa in se tutti gli aspetti microscopici di cui abbiamo parlato (e tanti altri): è come se la curva blu rappresentasse la sintesi di tutte le altre curve dei grafici della perdita di forza, del ROM, dell’incremento della CK e dei DOMS. L’allenamento successivo il mio corpo si è portato ad un livello superiore, e la curva andrà meno giù di prima, cioè i parametri microscopici varieranno di meno.
Iniziando a scavare sotto la sottile curva blu si cominciano ad introdurre degli elementi più di dettaglio, ma già a questo livello si capisce come sia impossibile associare la supercompensazione solamente ad un fattore, ad esempio i classici DOMS.
L’argomento è di interesse assoluto, specialmente per atleti di alto livello: selezionare un set di parametri che permette di definire correttamente quale è il momento migliore di allenarsi in un certo modo permetterebbe interessanti incrementi di prestazioni.
Ancora più giù
Se abbiamo scoperto cosa c’è sotto il cofano della superconpensazione, non abbiamo ancora definito perchè questi parametri variano da allenamento ad allenamento.

I ricercatori hanno testato l’effetto della serie ripetuta in innumerevoli condizioni, tipo:

  • due allenamenti identici sempre più distanziati nel tempo
  • il primo allenamento sempre più leggero rispetto al secondo
  • il primo allenamento effettuato su un ROM sempre più ridotto del secondo
  • il primo allenamento effettuato da nudo, con sempre più persone che guardano
Ok, l’ultimo no, dài ah ah ah anche perchè se ci fossero stati dei benefici mi immagino tutti i palestratori folli a fare squat con “la spada de foco” sguainata (citazione da quale film?) e a chiamare tutti i parenti a guardarli.
Quello che si osserva è che anche un allenamento molto leggero produce un effetto “protettivo” a distanza di tempo. Mi raccomando: “protettivo” non significa “efficare” ai nostri fini. E’ comunque un aspetto da tenere in considerazione, e personalmente ho sempre sperimentato che un ricondizionamento blandissimo con pesi e volumi infimi mi permette sempre di partire molto bene con il ciclo di allenamento vero e proprio.
Questi allenamentini, sebbene pallosissimi, mi hanno sempre dato molti benefici rispetto al non farli. Fare 2×6 di panca con dei ridicoli 50Kg o uno squat in 2×8 con dei patetici 70Kg che mi ci vuole più a preparare il tutto che per fare l’allenamento mi permette però la settimana successiva di avere meno DOMS e annessi.
Pertanto, a seguito di un allenamento:
Vi è un danno muscolare che causa la rottura delle strutture cellulari, principalmente a carico dei dischi Z cioè alla congiunzione fra i sarcomeri. Si riversano nel sangue e nei fluidi extracellulari le sostanze intracellulari proprie dei muscoli.
Inizia una risposta infiammatoria con tutto l’insieme di sostanze prodotte in questi casi, (i macrofagi iniziano a ripulire i muscoli dalle cellule danneggiate… ah, i macrofagi sono gli spazzini del corpo, avete visto i cartoni animati “siamo fatti così?”).
Si crea l’ambiente che porta alla sensibilizzazione dei nocicettori e pertanto all’insorgere dei DOMS. Fra danno e sensibilizzazione passa del tempo. Analogamente iniziano a incrementarsi nel sangue i valori di tutti i marker di cui abbiamo fatto cenno.

Iniziano gli adattamenti specifici per sopperire all’attuale stato degenerativo:

  • adattamenti neurali: incremento del reclutamento e della sincronizzazione delle fibre muscolari
  • adattamenti dei costituenti non contrattili dei muscoli: incremento della rigidità passiva e dinamica, incremento del tessuto connettivo intramuscolare
  • adattamenti dei costituenti contrattili: incremento del numero dei sarcomeri, rafforzamento della membrana plasmatica, incremento della sintesi delle proteine, eliminazione delle fibre deboli e rimpiazzamento con fibre più forti
Ognuno dei punti sopra elencati vi sono tonnellate di studi e se volessimo dettagliare la Supercompensazione con quello che veramente rappresenta, per ogni aspetto dovremmo identificare una o più grandezze di riferimento. Ad esempio, se parliamo di miglioramento del reclutamento delle fibre dovremmo inventarci un parametro che tenga conto di quanto questo migliora, se parliamo di incremento di sintesi proteica ci vorrebbe un indicatore che ne tenga conto.
Solo così sarebbe possibile determinare con sicurezza quando è meglio allenarci di nuovo.
Tutti questi fattori determinano un adattamento e un miglioramento del tessuto muscolare che diventa più “resistente” a nuovi stimoli. Et voilà, l’effetto delle serie ripetute o, se vogliamo, l’essenza dell’allenamento: variazioni a livello cellulare che, complessivamente, permettono di incrementare la prestazione fisica nell’attività che ci interessa.
Conclusioni… Ma allora cosa ci dicono i DOMS?
Possiamo considerare i DOMS un avvertimento, una segnalazione, un warning come dicono gli anglosassoni. C’è qualcosa che non va, è in atto un processo rigenerativo. Sta a noi gestire questo avvertimento e non farsi prendere la mano. Non sono i DOMS che devono guidare i nostri allenamenti, ma dobbiamo tenerne di conto per giudicare lo stato del nostro recupero.
L’allenamento provoca una serie di modifiche al nostro corpo di cui i DOMS sono l’aspetto più evidente, ma non l’unico. Non dobbiamo perciò fidarci dei DOMS come criterio di scelta su quando riallenarsi, anche perchè un atleta molto preparato avrà meno DOMS di un principiante, avrà meno cali di forza, recupererà prima. Ed infatti è proprio questa una causa di infortuni: l’assenza dei DOMS furiosi e paralizzanti.
Dovete usare il buon senso: dire che un allenamento è efficace perchè si è triturati è assolutamente senza senso, ed avere perennemente DOMS è anch’essa una strategia che non porta a niente, perchè sottoponete il vostro corpo ad uno stress continuo. Il peggior modo di allenarvi è massacrarvi e aspettare di recuperare: un andamento singhiozzante dei DOMS che è meno efficace di altre strategie.
Dall’altra parte dovete tenere a mente che i DOMS accadono per una sensibilizzazione dei nocicettori a causa del danno muscolare indotto dall’allenamento, e questo c’è sempre. Perciò un po’ di DOMS dovete per forza averli, e zero DOMS si ottiene solo non allenandosi.
Scopo di una corretta tabella d’allenamento è permettervi di recuperare fra le varie sedute negliesercizi in cui cercate di migliorare, in modo da poter applicare gli stimoli in maniera progressiva secondo un abbozzo minimale di periodizzazione (leggi: non dovete essere maniacali ma nemmeno andare a caso), perciò potete/dovete allenarvi con i DOMS, perchè la scheda vi permette di averli ad un livello accettabile in ogni seduta.
Se, cioè, i DOMS sono un avvertimento, gestite l’avvertimento: abbiamo detto che i DOMS non sono direttamente correlati con il danno muscolare, però, Cristo, questo è vero se sono ad un livello medio-basso ma se siete del tutto disintegrati che manco riuscite a girarvi nel letto, per quanto la correlazione sia lasca tenetene di conto eh…
Per come la vedo io, dovete allenarvi in maniera tale che dopo al massimo 3 giorni i DOMS siano ad un basso livello e durante quei 3 giorni dovreste sperimentare un po’ di dolore (un po’!!) e un po’ di rigidezza muscolare. Se vi occorrono più di 3 giorni non è che siete ganzi e vi siete allenati da eroi ma semplicemente avete toppato la seduta e complessivamente vi potrete allenare di meno come numero di sedute mensili.
Come per la supercompensazione non dovete aspettare il picco ma fare in modo di forzarvi a ottenere il picco quando volete voi, con i DOMS dovete fare in modo che vadano via quando lo decidete voi. Ciò è assolutamente fattibile con un corretto allenamento. Anzi, questo E’ il corretto allenamento.
Tornando a tutti i parametri che potremmo misurare per determinare quando e come allenarci, vi posso dire che esiste già una macchina che permette di stabilire il modo ottimale per ottenere risultati, e ce l’avete tutti fra le orecchie. Utilizzate la Scienza come un ausilio, ma non fatevi dominare dallo Scientismo.
Un buon allenatore osserva i suoi atleti, li conosce e applica le sue conoscenze in maniera personalizzata. Non gli occorre sapere i livelli di CK dei ragazzi che allena, basta guardarli per capire se è bene spronarli o mandarli sotto la doccia. Il CK è un ausilio per rifinire al meglio una preparazione di un certo livello.
Se così non fosse, se fosse sufficiente leggere dei numerini, saremmo pieni di grandi allenatori e il livello medio di certi risultati sarebbe molto elevato. Invece, non è così. Allenare/allenarsi è un’arte difficile.
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Periodizzazione – Accumulo e trasformazione

Qualche giorno fa raccontavo a Gianni, il mio amico e collega con cui faccio il tragitto dalla stazione al lavoro, che nell’ultimo allenamento 10×4 di squat avevo esagerato e che se avessi smesso all’8×4 avrei già fatto il mio, ma poiché il “10” è un numero che mi piace, ho insistito fino a vedere il profeta Isaia che mi controllava la profondità di discesa.

Ok, lo so… parlo di queste assurdità anche con i colleghi. Del resto, l’altro argomento del Maschio Medio era già stato affrontato nella prima parte del viaggetto…
Gianni mi ha chiesto: “ma tu riesci a stabilire che quell’allenamento lo finisci? Che se devi fare quelle ripetizioni, quelle farai?”. In effetti, è così.
Questa domanda è simile a tante che poi si leggono sui forum: “ok, tutto bello, ma… quanti Kg piazzo sul bilanciere?”. Cioè: come faccio a determinare il carico giusto, il recupero giusto, come faccio a scegliere uno schema e una progressione che vada bene per me? E come faccio a capire quando sto sbagliando, quando sto esagerando o sto facendo troppo poco?
E io, come faccio? Ragazzi, la domanda non è per niente banale! Al di là della teoria che aiuta a scegliere soluzioni ragionevoli, è tutta esperienza. Di 10×4, 6×3, 2-4-6 ne ho provati a tonnellate, con poco o molto recupero, con Kg irragionevoli o perfetti. So come reagisco a quasi tutto, oramai. Per questo evito gli errori grossolani, ma solo perchè mi conosco. E per questo è difficile, per me, dare consigli a chi non conosco: non so come si comporta sotto stress.
Le leggi fisiologiche e biochimiche uguali per tutti stabiliscono allo stesso tempo che esistono delle individualità. Ognuno di noi ha le sue attitudini, i suoi schemi preferiti, i suoi esercizi che funzionano meglio. Io ad esempio rendo meglio su un 10×1 che su un 5×2, su un piramidale inverso piuttosto che su una prima serie target. Ho i miei schemi che “mi fanno girare i coglioni” e che evito, come voi avete i vostri.
Quello che caratterizza un buon allenatore è proprio la capacità di contestualizzare le sue conoscenza teoriche nella pratica di tutti i giorni, e questo è possibile sapendo come un dato schema di allenamento reagirà quando è applicato. Però, per avere idea di tutto questo, è necessario provare. Su di se o sugli altri. L’esperienza è così un valore.
Forse sbaglio, dovrei dare dei nomi agli schemi che presento, descriverli con le percentuali, essere meno possibilista e più diretto: è così e basta. Però non mi riesce, perchè io sono una persona che si concentra sul modello, sulle relazioni che legano elementi e variabili. Penso che, una volta compresi i legami, il grado di flessibilità sia superiore. Questo rende quanto scrivo molto meno immediato e fruibile, pieno di “dipende”. Me ne rendo conto.
Cercate di non avere fretta, costruitevi la vostra esperienza.
Avvertenze
I foglietti che si trovano nelle scatole delle medicine (si chiamano bugiardini, un nome che a me suona ridicolo) contengono le avvertenze nell’uso del medicinale a cui si riferiscono. Interazioni, effetti collaterali. In uno spettacolare c’era scritto “in rari casi può provocare anche la morte del paziente”. In rari casi, fiuuuu….
Come mai la “massa” non è mai menzionata?
La Teoria della Periodizzazione non è rivolta alla costruzione di massa muscolare, perchè il suo scopo è farvi arrivare in gara al top. E per “gara” si intende qualcosa dove esprimete le vostre caratteristiche fisiche in un gesto o una abilità di qualche tipo. L’estetica che noi colleghiamo alla massa muscolare non è contemplata. La massa muscolare è vista come un ausilio allo sviluppo del gesto e delle abilità, non come abilità in se.
Mettiamola così: fino a che il culturismo non sarà considerato uno sport secondo il senso comune del termine, non esisterà mai una “Teoria della Periodizzazione per la Massa Muscolare”, perciò tutto quello che oggi leggete dei vari autori ufficiali o meno deriva o verte sempre sulla “forza” in qualche sua manifestazione.
Su cosa concentrarsi
La Teoria della Periodizzazione evidenzia gli aspetti fondamentali da curare in una preparazione. Ecco uno schema che mi è sempre piaciuto: la piramide. In generale adoro gli schemi a piramide perchè evidenziano un ordine di priorità sequenziale: inutile concentrarsi su elementi che non sono importanti se tutti gli altri non sono andati a posto.
·         La preparazione fisica è la base di tutti gli sport, sia generale che specifica. Livelli minimi di forza, di abilità psicomotorie sono indispensabili anche nelle bocce, e non è possibile parlare di allenamenti specifici se non c’è un livello di “fisicità” raggiunto
·         La preparazione tecnica è specifica delle varie attività sportive, è la tecnica dello sport, del gesto atletico connesso alla disciplina. Esiste per tutti, ci possono essere livelli tecnici “generali” adatti a più discipline, ma comunque esiste una pesante parte specifica.
·         La preparazione tattica riguarda l’utilizzo delle metodiche più performanti per ottenere il risultato voluto in una competizione, le tattiche di gioco e tutto il resto.
·         La preparazione psicologica è volta a migliorare tutto quello che è la percezione della competizione, la visualizzazione e l’interiorizzazione dei gesti e l’autocontrollo.
Al di là di quello che rappresentano i singoli blocchi, mi preme sottolineare gli aspetti consequenziali: inutile essere la persona più autocontrollata del mondo nel tiro al piattello se dopo 5′ si fa fatica a tenere il calcio del fucile sulla spalla. Mancando proprio il primo livello, gli altri vanno a farsi friggere. Idem, inutile avere una chiara idea di come strutturare un ciclo di panca meglio di Sheiko se poi abbiamo un tricipite più scarso dell’altro e l’alzata è asimmetrica.
Ogni livello preclude un altro, e, anzi, il miglioramento di un livello permette una più chiara comprensione di quello successivo. Non voglio dilungarmi, ma un aumento di forza generale mette in condizione l’atleta di evidenziare delle carenze tecniche che pensava di non avere: non aveva i muscoli per poter capire i suoi difetti!
Ancora, non fate l’errore di pensare che questa roba non vi serva: possiamo sbattercene della preparazione psicologica e tattica, questo è vero. Noi svolgiamo una attività individuale dove competiamo con noi stessi, perciò che strategia o tattica di gara, che supporto psicologico dobbiamo avere? Dài…
Ed è chiaro che c’è una preparazione fisica: andiamo in palestra per diventare grossi e forti, per definizione facciamo “preparazione fisica”!
Ma questa piramide è importante perchè la teoria evidenzia, come gradino fondamentale, la preparazione tecnica. Se noi competiamo con noi stessi, per eccellere in questa competizione dobbiamo sviluppare la tecnica del nostro assurdo “sport”.
Ripeto: per ottenere risultati è necessario avere una tecnica buona o, viceversa, non curate la tecnica e non otterrete risultati. La teoria, nata nel tempo sulla pelle di migliaia di atleti, non transige. Mettetevelo in testa. Dovete-curare-la-tecnica!!!
Invece, non lo fa nessuno. Perchè i “pro” si allenano con movimenti parziali, strattonati e sono grossi lo stesso, perchè il peso è un mezzo e non un fine, perchè “io faccio massa”.
Il problema è che il “gesto tecnico” non se lo caga nessuno, perchè si pensa che sia una perdita di tempo perchè tanto non c’è nessuna gara, o che oramai il proprio livello sia sicuramente buono, o che si distragga tempo dalla “massa”.
Tutto questo è facilmente smontabile, specialmente il fatto di avere un livello di padronanza buono: il ritornello classico è che io mi lamento perchè in palestra sono tutti incompetenti, dal proprietario all’istruttore. Ma se tutti sono così ignoranti, come faccio io ad essere sicuro di aver imparato bene? Chi mi ha controllato? L’istruttore di un’altra palestra che a sua volta voi giudicate incompetente? Perciò, nessuno di noi è così bravo da potersi esimere dal non curare la tecnica.
E curare la tecnica non significa “non fare massa” o fare allenamenti smunti e poco divertenti: prima di tutto, basta dedicare 20′ una seduta si e una no per imparare tante cose, e poi si tratta di allenamenti che possono essere altamente impegnativi. In pratica, i cicli proposti presuppongono che voi vi concentriate sulla tecnica, sulle finezze, sui particolari, e cerchiate di essere “bravi” quando vi allenate. Prima di affrontare questa roba, perciò, sarebbe bene una revisione a quello che sapete fare con il vostro corpo.
Il punto fondamentale è che imparare la tecnica giusta fa parte del sottoinsieme dell’”imparare”. E per imparare c’è la necessità di essere curiosi, di non accontentarsi, di voler capire e di mettersi in gioco. Se voi vi allenate da molti anni, avete latente questa caratteristica. Dategli una possibilità e vi posso garantire che vi divertirete. Sia per l’allenamento, sia per i risultati.
Forza funzionale… bleah

Nell’articolo sulla dinamica delle ripetizioni ho spiegato il perchè il bodybuilder dovrebbe intraprendere cicli di forza, ma per evitare di seppellire una considerazione innovativa, geniale, superba e sublime (ok ok, il delirio di onnipotenza fa brutti scherzi) la riporto qua.

Lo schema qua sopra riporta in estrema sintesi quello che accade: a senso, quale stimolo ipertrofico è migliore, quello prima o quello dopo la cura?
Senza ridire per l’ennesima volta quello che oramai sa anche il mio cane, l’allenamento con i pesi “per la massa” è sempre effettuato in un range di 6-8 ripetizioni (e carico adeguato) perchè questo è il miglior compromesso fra intensità e durata dello stimolo. Se perciò lo stimolo allenante è dato dal peso utilizzato per le ripetizioni che posso effettuare, questo aumenterà se incrementa il peso che posso utilizzare sulle stesse ripetizioni!
Certo, ci sono da fare almeno 50 “si ma” e 20 “però”, ma il nocciolo è che la forza va allenata in maniera specifica proprio per essere utilizzata come mezzo per l’ipertrofia.
Perciò, la forza è funzionale all’ipertrofia per quello che ci riguarda. E quali sono i parametri più importanti da considerare? Chiaro, la reattività nel salto dal plinto e la distanza di lancio delle palle mediche. Ok, stavo scherzando… Ovviamente, il carico che mettiamo sopra il bilancieree il numero di volte (serie e ripetizioni) che spostiamo questo carico.
Chiamiamo il carico intensità e il numero di volte volume. Mi raccomando: il concetto di intensità è quello classico della Teoria dell’Allenamento, una quantità oggettiva dato che è pura ghisa. L’intensità data come “sforzo e impegno” non ci interessa, non perchè non sia importante, ma essendo soggettiva dobbiamo per ora eliminarla dal nostro giochetto.
Leggete ma poi ragionate
Non fatevi fregare dai grafici e dai paroloni. In generale e in particolare dalle cose che scrivo. Dovete avere la capacità di contestualizzare quello che dico per la vostra condizione. E pensare anche al fatto che potrei aver detto un sacco di fesserie: un corollario del Principio di Heisemberg afferma che la probabilità di dire stronzate è sempre diversa da zero.
Per prima cosa, per apprezzare quello di cui parlerò è bene che abbiate una certa anzianità di allenamento, che abbiate padronanza con gli esercizi, che abbiate dei Kg decenti. Meno vi conoscete sotto stress, più sarà difficile che il risultato sia quello atteso (potrebbe essere anche superiore eh…). Lo dico per correttezza.
Poi, alla fine si tratta di usare schemi a buffer dove il cedimento non è presente. Dovete avere un minimo di pratica sui carichi. Nel caso non ce l’abbiate, dovete farvela. Dovete imparare a tirare il vostro corpo, attraverso il solito processo di trial&error. Non potrete esimervi da questo.
Io mi riferisco a persone che si allenano 3 volte a settimana, perchè 3 è il numero medio di sedute che un uomo medio può fare in una settimana media nel mondo occidentale. 3 sedute le fanno tutti gli amatori del mondo, non vedo perchè noi no. Perciò, non chiedo 4 o 5 volte, e potrebbero andare bene anche 2 volte. Però non iniziate a fare discorsi antipatici del tipo “ma io posso solo 2 volte ogni 10 giorni o 3 ogni 15 o…”. La pizza si chiama pizza anche senza mozzarella (pizza rossa) o senza pomodoro (pizza bianca) o se ha i condimenti più assurdi sopra, ma se per l’impasto usate il poliuretano espanso non mi sembra il caso di chiamarla ancora “pizza”.
A cosa si applicano le fasi di accumulo e intensificazione
Anticipo subito che questi schemi si applicano agli esercizi e non ai gruppi muscolari. La differenza è importante. Solitamente, si sceglie UN esercizio a seduta su cui applicare questa roba, non UN gruppo. Applicate delle progressioni complesse ad un gruppo allenato con 3 esercizi e avrete un volume troppo elevato.
Un esercizio a seduta, due, tre esercizi complessivi su cui applicare queste idee. Questo è quanto. Così facendo è possibile per voi introdurre piano piano elementi nuovi, e per il resto continuare come avete sempre fatto.
Gli esercizi sono i classici multiarticolari, per il semplice motivo che “diventare bravi” passa per molti più fattori, nervosi e metabolici. C’è più margine di miglioramento perchè aumentano gli elementi che possono migliorare. E’ facile diventare esperti di curl per i bicipiti, molto meno di stacco. Perchè il curl è semplice, l’avambraccio ruota intorno al gomito e stop. Lo stacco coinvolge molte più articolazioni e le opzioni di traiettoria dei singoli segmenti ossei sono molte di più.
Mi raccomando: non è che dovete allenare TUTTO in questo modo, ma, anzi, vi consiglio di provare le idee su un solo esercizio. Uno.
Ultima cosa
Per l’ennesima volta, cerco di spiegare la teoria e il perchè funzionano certe cose. Poi esporrò degli esempi. Un esempio è una materializzazione di una data idea, non è l’idea. Capite l’idea e vi farete tutti gli esempi del mondo.
Entriamo nel vivo delle trattative
Consideriamo il microciclo eretico (eh eh eh) che è un ennesimo disegnino della supercompensazione, che ha in comune con tutti gli altri disegnini l’andamento: pongo il corpo in uno stato di stress programmato, poi lo faccio supercompensare (un riassuntino stringatissimo della puntata precedente).
Dobbiamo soffermarci su una serie di elementi che non devono essere dati per scontati:
Bang!
In tutti i disegni che trovate dopo le curve oscillanti verso l’alto o verso il basso c’è sempre la curvona che si impenna. Elimino lo stress, bang!, l’organismo può migliorare alla grande. Possiamo dire che super-compensa (Teoria della Supercompensazione classica) o che la fatica viene dissipata e il miglioramento risulta evidente (Dual Factor Theory).
Comunque sia, esiste sempre nel disegno una fase in cui l’allenamento viene eliminato per dar modo di ottenere i risultati. In pratica stiamo “trasformando” qualcosa in “prestazione”.
Nei disegni questo accade sempre con l’assenza di allenamento ma… sono disegni, no? Non fatevi fregare perchè poi pensate che sia necessario il “riposo” o lo “scarico”.
Possibile che non esistano dei metodi più performanti per ottenere questo effetto migliorativo? Certo che esistono: si tratta di manipolare il volume e il carico in modo tale da spingere l’organismo verso un risultato superiore. Il riposo come nel disegno è uno dei possibili modi: volume zero e intensità zero. Capite che tutto questo sia limitante, no? Ma, appunto, è un disegno.
Analogamente, lo scarico è un’altro modo di ottenere i risultati: inserisco una settimana a volume e a intensità inferiore al solito. Ma, appunto, è un altro modo.
Non preoccupiamoci di come fare, adesso, ma della possibilità che esistano modi alternativi a quelli dei disegni che permettono di migliorare le prestazioni. Per ottenere risultati, cioè, ci sono strade alternative più complesse che “non fare niente” o “fare meno”.
Volume
A destra in tutti i disegni le curve vanno sempre giù oscillando verso il basso. Questo perchè, appunto, induco uno stress. Ma per indurre lo stress devo introdurre un certo numero di sedute. Notate come il numero di sedute faccia parte della categoria “volume” piuttosto che della categoria “intensità”. In altre parole, è necessario un certo volume di allenamento. Non dico 20 sedute a settimana, per 3 ore l’una. Ma è necessario un quantitativo minimo per far poi il bang!
Il volume, cioè, è un qualcosa di importante nella Teoria della Periodizzazione. La differenza fra un atleta principiante, uno intermedio e uno avanzato è data dal differente livello prestativo assoluto (cioè “io sono più veloce/forte di te” per fare un esempio) ma principalmente dalla differente capacità di reggere volumi di lavoro (cioè “io riesco a fare più cose di te”).
Il talento genetico può fare il culo su una singola prova a tutti quelli che si allenano da una vita, ma difficilmente riuscirà a reggere più di queste prove. E’ la capacità di tenere elevati volumi di lavoro che differenzia questi soggetti. Per questo ai Giochi della Gioventù (li fanno ancora?) i calciatori vincevano a mani basse in batteria per poi rantolare in finale: 3 volte i 100 metri sparati al massimo era troppo per loro, abituati ad altri tipi di sforzi.
Perciò è necessario incrementare, specialmente se siete principianti, la vostra capacità di generare volumi di lavoro. E’ proprio questo volume che verrà “trasformato”. Sarà più chiaro in seguito, ma questo è il concetto.
Per molti questa suona come una pazzia, ma è così: se vi allenate sempre in monoserie 1×8 alla morte, avete pochissimo da “trasformare”. Pensate a come evolve nel tempo un ciclo del genere… a come termina e capirete il perchè.
Non si attende un bel nulla.

L’ultimo aspetto da tenere in considerazione è che nella Teoria della Periodizzazione (di cui la Supercompensazione è una parte) considera i vari grafici come interconnessi, così

La teoria serve per ottenere risultati in una competizione, che è un evento prefissato. Questo significa che ogni fase deve dare i risultati in un ben preciso intervallo di tempo.
In altre parole, non è che mi alleno, mi riposo, e quando sono pronto io mi alleno di nuovo. No. Io mi alleno per forzare il mio corpo a dare i risultati che io stabilisco nel periodo che io stabilisco. E’ l’esatto contrario. Per questo nessuno attende il picco supercompensativo: perchè non c’è nulla da attendere, il picco deve venire quando lo dico io!
Non è presunzione, ma è proprio l’arte di allenarsi. Questo dovete in ultima analisi imparare: ottenere i risultati quando volete voi. Se questo non accade, avete sbagliato perchè non basta il risultato ma anche quando l’avete conseguito.
Poiché noi non gareggiamo, possiamo essere più laschi e meno esigenti, ma il concetto deve rimanere. Aspettare il miglioramento equivale a non farlo mai arrivare. Forzare il corpo a migliorare, in un dato periodo. Che poi sia una settimana prima o dopo non ci interessa, ma questo è il concetto.

Un esempio straclassico

Ok ok, so già cosa mi state per dire. “Ma come, tutto questo gran puzzo scientifico e poi per l’ennesima volta in fottutissimo ciclo russo che manco è una tua idea?”. Eh sì, perchè, alla fine, questa roba esemplifica i concetti.
Accumulo
Guardate la prima parte: ci sono 4 sedute dove il carico è sempre lo stesso e il volume aumenta. Qui “accumulate” lavoro. E’ chiaro che questo accumulo vada fatto con criterio: un multiarticolare dove è richiesta abilità e tecnica, in modo da mettere sotto stress l’organismo. Quello che accade è che il vostro corpo, per reggere un aumento di questo tipo, deve diventare più “bravo”, deve specializzarsi ad ottimizzare le energie, a limare la tecnica, a riuscire a compiere lo stesso gesto in condizioni di sempre più stanchezza.
Questa abilità viene sepolta dalla fatica che fate, ma comunque deve migliorare, altrimenti non potreste terminare la fase di accumulo.
La tabella qua sopra mette a confronto un po’ di modi per ottenere un accumulo.
La A è il ciclo russo. Ragioniamoci un attimo sopra: inizio con serie di 3 ripetizioni con un carico con cui ne andrò a fare 6×6 alla fine, perciò inizio “piano”. Possiamo stare a discutere una vita sul buffer, le percentuali e tutto il resto, ma se lo scopo è fare 36 ripetizioni con un peso e inizio con 18, sicuramente sono partico con del margine.
Ciò non toglie che il numero di serie è elevato. In queste condizioni si verifica un fatto che chi fa un 2×8 non può mai provare: l’adattamento neurale a breve termine.
Senza usare tanti paroloni, via via che nella sessione macinate serie il vostro cervello capirà a gestire meglio il carico, a “sentirlo” come fattibile. In un allenamento ad elevate serie di poche ripetizioni le serie intermedie sono quelle che vengono meglio. E’ qui che si verificano quegli adattamenti positivi che vogliamo: il sistema nervoso prende confidenza con il carico, ottimizzando le traiettorie, imparando a rallentare ed accelerare quando serve. Le ultime serie sono quelle dove si sente la stanchezza, ma poiché sappiamo che il carico è fattibile, le chiudiamo comunque.
Questo fenomeno si “sente” proprio: nelle prime serie c’è un certo “timore”, una specie di fiatone anche se vi siete scaldati bene, movimenti non fluidi. Poi nelle serie centrali queste sensazioni scompaiono e vi sentite caldi e reattivi. A me fa così, e dato che io appartengo alla specie homo sapiens sapiens come voi, non credo di essere così particolare da provare cose strane o innovative.
Di seduta in seduta gli adattamenti dati dall’allenamento precedente permettono di chiudere anche l’allenamento attuale, perchè in ogni serie si incrementa di una sola ripetizione.
Ovviamente, si tratta di scegliere con estrema attenzione il carico. 80% di cosa? E’ qui che i soldatini che provano i cicli russi finiscono in qualche gulag della Siberia o al Cremlino sotto la statua di Stalin per essere premiati.
Questo tipo di accumulo permette perciò di tirare le proprie capacità di adattamento facendovi diventare sempre più bravi. E’ difficile, vi tira per il collo, ma è fattibile.
Il ciclo B è composto da 4 numeri a caso, belli da vedere ma assolutamente senza senso. Lo riporto perchè a tutti piace inventare schemi, e una volta l’ho fatto anche io (il boato dell’esplosione fu peggio di quello del Krakatoa). Lo schema non funziona perchè l’incremento di volume è troppo repentino e il corpo non può adattarsi con quel carico.
Lo schema C ha serie e ripetizioni rigirate rispetto all’A. Perciò il volume totale è sempre lo stesso. Ma, stranamente, funziona peggio. Il problema di questo schema è che 6 ripetizioni sono tante e ci si concentra più sul finirle che sul farle bene. Iniziando con 3 serie si sente molto meno l’adattamento a breve termine, perchè l’allenamento termina subito, un po’ come nel 2×8. Non imparate a gestire il carico e avete fretta di concludere la serie per “paura” di non farcela. Ma ogni allenamento viene incrementato di una serie, e l’adattamento rincorre lo stimolo.
Poiché è uno schema progressivo, dà i suoi risultati, ma se può funzionare per un principiante, alla lunga non rende.
Lo schema D è un’altra idea: partire con un 6×6 a meno peso del finale e salire con i Kg di allenamento in allenamento. Questo schema ha una sua valenza, a mio avviso, per far sviluppare capacità di lavoro in una fase introduttiva di un ciclo, in un ricondizionamento, nell’apprendimento di un nuovo movimento dove voglio comunque allenarmi. Io stesso uso roba del genere che può essere anche molto ipertrofica a mio avviso, basta giocare sui recuperi.
Il problema è che il vostro corpo è molto sensibile alle variazioni di intensità, più che a quelle di volume. Si adatta peggio ad incrementi di carico che ad incrementi di serie/ripetizioni. Per visualizzare questo, pensate allo squat 1×20: c’è gente che in questo esercizio, a forza di incrementi di 500 grammi, riesce ad arrivare a 20 ripetizioni con pesi esorbitanti. Volume stellare.
Ma se gli stessi devono fare un allenamento in 1×5 con un 15% in più, hanno un crollo anche se l’incremento è del tutto plausibile. Perchè il volume è una caratteristica bruta, l’intensità è fine (per usare qualcosa di assolutamente poco scientifico) ed è sempre più facile “fare di più” che “farlo più forte”
Nello schema D è difficoltoso adattarsi agli incrementi di carico con quel volume di lavoro, ed è perciò facile fallire il risultato finale.
Perciò nella fase di accumulo si deve cercare di arrivare al volume massimo prefissato con il carico che abbiamo scelto. Così facendo abbiamo incrementato le nostre abilità di gestione di quel peso. Lo scopo è proprio riuscire ad effettuare delle belle alzate in condizioni di fatica. Per far ciò ci vuole uno schema di carico sfidante ma fattibile.
Sarebbe bello dare delle regole generali, ma… non ci sono. Il ciclo russo è un’idea, 1000 variazioni sono possibili.
Trasformazione
Al termine dell’incremento della capacità di lavoro si inizia a incrementare il peso, scalando le ripetizioni. Si “trasforma” quanto fatto nella fase precedente in un incremento di prestazione. Nel nostro caso, Kg sul bilanciere.
Perciò questi Kg devono in qualche modo salire, ma per far ciò è necessario scalare il volume di allenamento, perchè incrementare i Kg a parità di volume significherebbe che potrei fare più volume a parità di Kg, cioè non avrei terminato l’accumulo stesso.

Decido un incremento lineare a salti del 5% e scalo il volume in maniera molto drastica dato che passo da 25 ripetizioni a 16, 9 e poi 4. Il decremento non è lineare in quanto l’idea è che a fronte di un incremento di carico di quel tipo la percezione della difficoltà non sia proporzionale, perciò le alzate devono scendere in maniera non lineare per compensare questo fenomeno.

Ho inserito nella tabella sopra riportata un confronto fra 3 tipologie differenti di trasformazione: la A è il ciclo russo.
Nello schema B parto con un 6×4 per un totale di 24 ripetizioni, equivalente alle 25 del “russo”. Poi però scalo ancora di più il volume totale, ma cerco di mantenere alto il numero di serie. Questo, a mio avviso, è uno schema migliore del precedente, sempre per la “sensibilità all’intensità” di cui abbiamo parlato. Un 3x3x95% è assolutamente devastante, non per le 3 serie, ma per le 3 ripetizioni che con quel peso sono tante. 6 singole, invece, sono percepite in tutt’altra maniera. Idem il confronto fra 4×4 e 6×2 che a quasi parità di volume rendono la seconda soluzione più fattibile.
Lo schema C è un’altra variazione, dove si calca la mano ulteriormente sul facilitare l’esecuzione di una singola serie, aumentando però il numero di serie.
Anche nella fase di trasformazione ci sono politiche più o meno valide, con una differenza rispetto all’accumulo: questo, infatti, risulta più cruciale perchè toppare in questo momento significa impedire al ciclo di arrivare proprio a termine, mentre toppare nella trasformazione porta comunque ad un risultato seppure parziale.
In più, nella fase di trasformazione se ci accorgiamo che le cose non stanno andando come vorremmo è facile rallentare l’incremento e/o scalare il volume, proprio perchè la sensibilità all’intensità permette di evidenziare subito i difetti della pianificazione: se sbaglio, me ne accorgo.
L’accumulo invece è molto più subdolo in quanto è facile generare un volume immenso accumulando fatica senza accorgersene, con difficoltà a smaltirla nelle ultime settimane prima della trasformazione. Considerate che una fase di accumulo può durare anche mesi eh… qui stiamo facendo esempi per il BB, ma una preparazione invernale in pista dura 4 mesi. Il meccanismo del superallenamento nasce proprio per la capacità del corpo di accumulare lavoro e più siete allenati e più questa capacità vi permette di spremervi.
Mi raccomando: non sto dicendo che il ciclo russo faccia cagare, non facciamo i soliti palestrari marmorei. Funziona, alla grande, se settate i carichi corretti. Poi, come tutte le soluzioni prestampate, smetterà di funzionare. Quando l’avrete fatto 3-4 volte con Kg sempre crescenti vedrete che la fase di trasformazione è troppo difficile. E saranno più performanti le altre soluzioni.
Ma nulla vieta di ibridare il ciclo prendendo l’accumulo del “russo” e la trasformazione di altri sistemi.
Volume costante in trasformazione
Puntualizzo meglio quanto espresso nell’esempio precedente. Esiste una regoletta che è il continuum serie e ripetizioni, una legge empirica che lega le ripetizioni per serie alle serie totali. In un ciclo di trasformazione è più performante far salire il carico mantenendo costante il più possibile il volume di lavoro.
Il graficozzo è solo per fare scena: ho supposto un volume totale di 24 ripetizioni partendo da un 4×6 per poi avere 5×5, 6×4, 8×3, 12×2, 24×1. Il volume è praticamente costante, e ogni volta

Così facendo limito il problema della sensibilità all’intensità: sempre meno ripetizioni in modo da non avere stress mentale per finire la serie, ma sottopongo lo stesso il corpo allo stimolo del carico. Ok, 12, 24 serie sono un po’ tantine, una persona normale sclera a farle. Limitiamole a 10.

Ecco qua, questo mi sembra più ragionevole: così facendo è possibile dare lo stimolo corretto al nostro esercizio in fase di trasformazione.
Però continuate a ragionare: perchè 24 ripetizioni come partenza? Semplice: l’ho stabilito IO eh eh eh. Dovete generalizzare lo schema: in trasformazione si prende un volume totale di ripetizioni e si cerca di mantenerlo costante, decrementando le ripetizioni e incrementando le serie. Alla fine quando le serie diventano troppo alte, sarò costretto a scalerò il volume.
Quello decreta, bene o male, la fine del ciclo.Poco volume, poco stimolo allenante, tutto neurale ad alta intensità. Stop. Insistete e andrete in stallo perchè il carico sarà così elevato che non potrete adattarvi. Questo è il motivo per cui un 4×5 fallisce quando diventa 5-3-2-2: il carico è troppo elevato, qualsiasi sia il recupero.
Sintetizzando…
Generalizzando i concetti che ho esposto nell’esempio, in entrambi i grafici le settimane da 1 a 4 sono una fase preparatoria dove, in qualche modo, si fa crescere sia il volume che l’intensità a livelli decenti. Immaginiamo il rientro dopo un periodo di stop o l’inserimento di un esercizio nuovo. Più siete allenati e meno tempo dedicherete a questa roba. Se il ciclo che iniziate è a seguito di un’altro, questa fase non c’è.
Ma che voi siate Coleman o l’ultimo dei secchi, se introducete elementi nuovi vi consiglio caldamente di fare delle sedute di avvicinamento: un nuovo esercizio, una frequenza di allenamento più elevata, meno recupero, quello che volete ma c’è sempre un momento in cui chiunque è “principiante”.
Le settimane da 5 a 8 sono le fasi di accumulo, in alto a intensità costante e volume crescente, in basso a volume costante e intensità crescente. Sono possibili entrambe le opzioni, tutto sta a come vengono impostate. E sono possibili mix in varia forma e durate in varia lunghezza.
Le settimane da 9 a 12 sono le fasi di trasformazione e, in entrambi i casi, si fanno salire i carichi (linearmente o meno) a scapito di un calo del volume. Anche in questo caso, sono possibili innumerevoli possibilità ragionevoli.
Gli incrementi sono sempre lineari, ma non è una regola biblica. “Si fa così” per abitudine, consuetudine e, principalmente, perchè la percezione del peso non è lineare con l’intensità, perciò manteniamo la crescita del carico lineare e cambiamo tutto il resto per non fare casino, ma solo per quello.
Solitamente non c’è riposo fra le fasi perchè non è quello che fa migliorare ma proprio la fase di trasformazione. Ovviamente, nulla vieta che voi piazziate una settimana fra i due blocchi, anzi, potrebbe essere per cicli molto tirati un vero toccasana. Ma poi è necessaria la fase successiva dove saliamo con i carichi.
Alla fine, la programmazione è un’arte, con largo spazio all’intuizione e all’istinto, alle individualità e alle improvvisazioni in corso d’opera. Notate quante possibilità, quanti “si però” ci sono con solo due variabili: volume e intensità che per noi sono serie/ripetizioni e carico. Inseriamo anche frequenza e recupero e il numero di possibilità esplode esponenzialmente.
I cicli proposti sono dei veri cicli di trasformazione, dove, cioè, faccio variare i valori dei parametri di un esercizio. Ci sono cicli detti di trasmutazione, dove vario il tipo di esercizio, il mezzo allenante, per ottenere un risultato su un’altro esercizio.
Potrei allenare lo stacco con lo squat e il good morning, per poi trasmutare i risultati in questi esercizi in un risultato nello stacco, come una specie di mutazione. Oppure un ciclo di accumulo che inizia con lo stacco sui rialzi e una fase di trasformazione che continua con lo stacco regolare, oppure panca stretta e panca piana. La fase di trasformazione può essere più “violenta” perchè in questo caso ho il boost dato dallo scalare il volume e quello dato dallo scalare la difficoltà dell’esercizio.
Chi ha disponibilità di tempo può fare cicli di accumulo incrementando le sedute settimanali, creando schemi complessi dove il numero di parametri aumenta. Personalmente non mi piacciono questi schemi perchè presuppongono tempo da dedicare quando questo è la risorsa più preziosa che abbiamo. Però con 3 sedute settimanali è possibile esplorare anche questo aspetto.
Perciò, visualizzate ila coppia accumulo/intensificazione come gonfiare un palloncino e lasciarlo libero: lo gonfiate per fargli raggiungere il punto che vi interessa. Lo gonfiate sempre di più per farlo andare più lontano: è una supposizione ragionevole ma capite quanto possa essere insidiosa: potrebbe scoppiarvi in faccia, o volare sopra una siepe piena di spini. Ciò non significa che non si debba gonfiare.
Post scriptum – Un altro esempio… reale
So benissimo che un articolo del genere è abbastanza inconcludente: gli schemi proposti sono sempre gli stessi, non c’è robina ganza da usare e provare. Il problema è che bene o male queste sono le idee. Poi la loro declinazione è immensamente varia e, veramente, è molto difficile stabilire cosa e come fare.
Non è mio costume proporre schemi su schemi, sempre nuovi e sempre diversi: non devo vendere nulla, perciò non devo essere sempre alla moda o sulla cresta dell’onda con l’ultima novità. In più, non riesco a chiacchierare di cose che non ho praticato, un mio limite.
Per questo, vi illustrerò il mio ciclo di squat e stacco che sto portando avanti per la Coppa Italia di Ottobre. E’ un ciclo reale, con i suoi pregi e i suoi difetti. E, in più, non l’ho fatto tutto, perciò lo potete vedere in diretta e non quando verrà ripulito degli errori e rimesso il bella.
Per quanto i miei massimali non siano complessivamente eccelsi, ho comunque dei risultati superiori alla media, pur essendo lontanissimo dal professionismo. Spero perciò che questa roba possa servire come spunto per qualcuno: per quanto arriverò nelle retrovie, ci preparo una gara con questa roba.
Ciclo introduttivo
A luglio non avevo di sicuro idea di cosa avrei fatto nei mesi successivi, ma due punti erano abbastanza chiari: avrei usato la cintura da PL per la gara, e avrei voluto fare lo squat due volte a settimana.
Io sono un po’ un cialtrone nell’utilizzare i gadget da PL (ci ho messo 4 sedute per capire come stringere i polsini…) e la cintura per come è fatto il mio bacino e le mie leve è sempre stata problematica: dopo mesi di prove ho capito che devo metterla molto in alto, quasi ascellare. Se non faccio così… non scendo e mi faccio male alle vertebre toraciche. In più, mi sbuccio sempre le creste iliache. Mah… sono strano. Imparare l’uso della cintura per la gara era perciò un punto fermo.
Non ho mai fatto squat con risultati quando la frequenza è salita a 2 volte a settimana. Mi meraviglio sempre di coloro che espongono schede con frequenze di 3 o anche 4 volte a settimana, più stacco e quant’altro: io con 2 volte riesco a riempirmi di doloretti assurdi che non se ne vanno via per molto tempo. Un rapido conto e l’ultimo mese di preparazione sarei stato in condominio, perciò rack una volta a settimana per forza, ma tutte le settimane precedenti in campagna sarebbe stato stupido non provare ad incrementare a 2 la frequenza. Ok, proviamoci, mi sono detto.
Ecco come si scelgono gli obbiettivi: nulla di particolarmente eclatante ma roba però definita e precisa. E quelli si perseguono. Perciò, mi sono allenato così per le prime 5 settimane (riporto lo squat e basta, non ho fatto stacco, la panca non interessa), martedì e sabato:
Questo è un ciclo introduttivo dove si cerca di condizionarsi al volume della fase di accumulo successivo. Ritengo che l’introduzione di elementi nuovi nell’allenamento necessiti di una partenza da “principiante”, e questo vale anche per Conan il barbaro. Tengo a sottolineare che io mi alleno proprio come scrivo che gli altri dovrebbero fare.
Se devo allenare lo squat 2 volte a settimana, lo faccio 2 volte a settimana. Ho scelto un 10×6 perchè volevo un bel volume e perchè mi piace il “10”. Non fate gli hardgainer con il prosciutto sul nervo ottico: notate i carichi. Sono partico con 90Kg, il 45% del mio massimale!! Quarantacinquepercento porca troia!
Quando leggo di schede in 5x5x80% di squat bisettimanale rimango basito. Attenzione alle %!!! Io ho scelto di partire con 2 rotelle da 20Kg per parte, stop. Questo perchè ogni ripetizione era da fare “bene” con la cintura, un bel volume, poco recupero, senza stare tanto a pensare.
Essendo abituato ad allenarmi con attrezzature limitate non mi piace variare troppo gli esercizi, perchè devo scaricare, ricaricare. Preferisco svolgere il volume totale in UN solo esercizio. Proprio per questo 10 serie se possono sembrare tante in realtà sono meno di chi in palestra fa squat, pressa, hack squat.
I cicli introduttivi devono essere così: se volume deve essere, volume sia. Ma… cosa succede quando si opera così? Il volume elevato e la frequenza “elevata” (nel mio caso) creano una situazione nuova per l’organismo: ho avuto le prime 2-3 sedute dei DOMS incredibili, indipendentemente dal peso usato.
E’ proprio il volume che crea questa situazione, ma i carichi bassi impediscono che la fatica sistemica cresca: DOMS localizzati ai quadricipiti e non quella sensazione di stanchezza globale, legamenti rincriccati, cartilagini compresse.
Come mi aspettavo, dopo ho iniziato a ingranare e i Kg sono saliti molto bene. Ho incrementato un po’ i recuperi perchè volevo finire ogni allenamento in modo brillante, senza quelle ripetizioni tiratissime con il fiatone. Altrimenti, che ciclo introduttivo sarebbe stato?
Devo dire che 10x6x125Kg è per me un ottimo risultato. Poco più del 60% del massimale per tantissime volte. Si è verificato, come sempre succede, l’adattamento al volume: una progressione che cresce tranquilla senza vomitare permette di incrementare i carichi in maniera notevole pur tenendo un bel volume di lavoro.
L’ultimo allenamento previsto sarebbe stato un 10x6x130Kg. Ma si è verificato il fenomeno della “sensibilità all’intensità”. Non ho percepito l’incremento dei soliti 5Kg come se fossero 5Kg, ma molto di più. Avrei anche potuto finire il ciclo a 10×6 sbuffando, ma… perchè? Avrei dovuto alzare il recupero o tirare di più. Non ce ne era motivo.
A questo punto del ciclo sono stato in grado di reggere due sedute a settimana, condizionando il mio corpo a recuperare fra le sedute. Notate che ci ho messo 4 settimane e mezzo per arrivare al risultato necessario per partire veramente. Perciò, non dovete avere fretta.
Un ciclo introduttivo in questo modo induce molto appetito. Perchè c’è molto acido lattico prodotto, c’è molto lavoro, senza però allenarsi in condizioni di paresi e colpo apoplettico che portano ad avere lo stomaco chiuso. Ci sarebbe molto da dire, ma la fissa dell’acido lattico come stimolo ipertrofico impedisce di capire che c’è modo e modo di creare un ambiente acido, e che a mio avviso questo è il modo corretto.
Consiglio a tutti di provare cicli in questo modo, dove non c’è l’ansia di caricare sul bilanciere, ma ci si concentra sul fare le ripetizioni “bene” anche se sono tante. Ciò è possibile con un carico non elevato, ma credo che la ripetitività del gesto, cosciente e attenta, porti molti benefici successivamente. Io mi diverto sempre un sacco in questi allenamenti.
Accumulo
In questa fase ho scelto per le sedute due schemi differenti. La scelta degli schemi è soggettiva: non c’è un motivo se non le attitudini personali, il gusto, il piacere di allenarsi. Ricordatevene quando valutate la roba degli altri. Non “è meglio” come faccio io, è che “a me piace così” e su di me le regole della Teoria applicate in questo modo hanno dato risultati.
Guardate la colonna a destra, quella del sabato: oramai chi legge quello che scrivo non ci vede più nulla di innovativo: a parte la prima seduta dove ho ripreso confidenza con 140Kg (il mio 70%), le altre sono un classico “10 per qualcosa”, in un miniciclo 10×3-10×4 a parità di peso per poi scalare a 10×3 aumentando il peso.
Il lavoro del sabato è quello più prettamente di accumulo: eseguire molte ripetizioni con un peso sempre più impegnativo, con tecnica buona. Per questo non vado di certo sopra 4 ripetizioni. 10 serie sono una mia fissa, ma basta molto meno e probabilmente 6 è il numero giusto.
Non mi preoccupo in questo allenamento di “dinamismo” o altre cose da fissati-fighetti, basta solo che mi concentri su: tecnica buona, inversione del movimento decisa e… finire l’allenamento. Ho utilizzato recuperi più ampi rispetto a quanto di solito uso, proprio perchè volevo finire l’accumulo di slancio, senza quelle cazzo di ripetizioni stralente che detesto.
Per i pesi, ho fatto riferimento al vecchio ciclo di qualche mese fa: ero riuscito a fare 7x3x160 senza cintura, ho impostato il tutto per arrivare a 7x4x160 con cintura come risultato minimale, 8x4x160 come risultato buono, sopra questo sarebbe stato quello che tecnicamente si definisce “tutto grasso che cola”. La scelta dei carichi è stata estremamente semplice grazie all’esperienza. Ho volutamente lasciato i Kg e non le % (che sono del 70%, 75%, 80%) per non mescolare il ragionamento: io non ragiono MAI a percentuali. Non ne ho bisogno e vi prego di forzarvi a fare affidamento sul vostro background di cicli svolti.
Il gran merito del ciclo introduttivo è che l’utilizzo di 6 ripetizioni rende le 4 mentalmente fattibili. Se non lo avessi svolto non avrei potuto utilizzare questi pesi già da subito.
Scopo dell’allenamento del sabato è di abituare a maneggiare Kg “importanti” in condizioni di stanchezza. Non ci sono cazzi: 150Kg e 160Kg sono per me pesi veramente di merda, che non diventano mai leggeri. Mai.
Perciò per renderli fattibili è necessario condizionarsi così tanto da poterli sollevare in qualsiasi situazione. In questo allenamento mi sono focalizzato su questo. Per questo ho scelto molte serie. Avrei potuto ottenere lo stesso con 2 ripetizioni per serie, ma questo è un accumulo e ho provato a forzare.
La colonna a sinistra è uno schema che mi è sempre piaciuto, e consiste di due elementi: lavoro “tecnico” con pesi medio-bassi e qualche singola a peso superiore a quello dell’allenamento del Sabato.
Il lavoro tecnico consiste nel ricercare la velocità e il dinamismo, abituarsi a tenere di schiena anche quando si cerca di andare veloce. Possiamo chiamarla seduta dinamica o dynamic effort o sistema coniugato , ma il concetto è che la parte da fissati-fighetti è concentrata in questo allenamento, in modo che gli schemi motori possano essere replicati nell’altro. Ma non è possibile affinare la tecnica se si è presi dal finire l’allenamento.
Come si nota, ho scelto una specie di schema a onde ripetuto due volte, con pesi del 60%-70% del massimale. Diciamo che 120Kg sono un peso molto basso e che proprio per questo va fatto come una fucilata. Sempre perchè è un accumulo, ho cercato nelle varie sedute di incrementare il volume.
Le singole hanno lo scopo di preparare la testa al carico della seduta pesante: se io “testo” un peso superiore a quello della seduta successiva, ma per pochissime volte da non stancarmi, la seduta successiva percepirò il peso di lavoro come fattibile. Le singole fanno da propellente per l’allenamento successivo. Quando c’era da usare 150 in 10×3 ho usato 160, e così via. Devo dire che mi piace fare queste singole senza impegno se non quello di farle bene: i pesi leggeri usati prima fungono da riscaldamento “neurale” e le singole vengono sempre bene o abbastanza bene.
Questo è un esempio di cosa intendo per “curare la tecnica”. Non mi sembrano allenamenti facili facili dove si perde tempo. E’ questo che è difficile da comunicare: si può “fare tecnica” anche in massa. Preciso, per correttezza, che io ho un brutto squat, non sono un esempio da prendere a riferimento, ma sono questi allenamenti che mi hanno fatto passare da “mani nei capelli” a “quasi accettabile”.
Devo dire che i risultati sono arrivati: ho maneggiato 180Kg in buona forma (video alla mano), e i 10x4x160 (80%) sono stati un traguardo eccezionale se si pensa che in un vecchio ciclo russo del 2006 il massimo era stato 4x4x160, cioè 24 ripetizioni meno!
Ho inserito anche lo stacco, dato che la gara è sulle tre alzate. Ho deciso di non dare molta enfasi allo stacco dato che è la mia alzata migliore, mentre lo squat è più problematico. Anche questa volta sono partito molto piano, 130Kg sono il 50% del massimale senza cintura, mentre qui addirittura la uso!
Mi sono mantenuto sul semplice e per dare un po’ di vérve al tutto ho scelto uno schema a coppie di serie, dove la seconda serie è di 10Kg superiore alla prima. Ogni settimana ho incrementato di 10Kg, con bassi recuperi.
Volutamente ho mantenuto la seduta di stacco nello stesso giorno dello squat perchè ho visto che complessivamente recupero molto meglio: un unico mega-stimolo senza che poi vada a rompere le palle al mio corpo nei giorni successivi quando è nella fase di rigenerazione. Devo dire che mi sono trovato anche in questo caso molto bene.
A questo punto, l’accumulo è finito. Tutto perfetto? Assolutamente no. Perchè, credo di aver esagerato. Ho un paio di doloretti ai quadricipiti che non se ne vanno fra le sedute, e questo è un indice di accumulo di fatica sistemica.
Si è cioè verificato quello che accade alle persone molto condizionate: la fatica sistemica non impedisce di ottenere risultati intermedi molto buoni. Ma poi si sente tutta quando avviene la trasformazione, che non saràcosì performante rispetto alle premesse. E’ questo che mi preoccupa. La prossima seduta inizia la trasformazione, e potrei prendere una vera e propria randellata nei denti.
Del resto, sbagliare fa parte del gioco: essendo in campagna ho puntato molto sulla disponibilità del rack 2 volte a settimana, sfruttando tutte le sedute possibili. Perchè non avrei dovuto? Una dose di rischio nelle scelte c’è sempre.
Ciò non inficia le idee alla base, e se errore ci sarà ciò influenzerà il cogliere il risultato finale, perciò chi non gareggia non ha di queste preoccupazioni e può prendere tranquillamente spunto. Per chi non è pratico di questo tipo di “errori”, non è che ho problemi a dormire, mi sono fatto male, sono diventato più piccolo del solito: è possibile, semplicemente, che la preparazione non dia i suoi frutti. Niente di preoccupante per chi non gareggia, assolutamente devastante per chi lo fa.
Scrivo fra la fine dell’ultimo allenamento di accumulo e il primo di trasformazione: 10x2x170, vedremo come va.
Trasformazione
Questa fase, in teoria, è in assoluta discesa dato che la fatica è finita e le opzioni sono bloccate: da Lunedì sono in città, perciò eliminerò l’allenamento di squat del martedì perchè non ho il rack, e rimarrà solo quello di stacco che dovrebbe avere una impennata di prestazioni.
I volumi sono drasticamente più bassi: sia come sedute, una sola, che come ripetizioni totali nella seduta del sabato dato che si dimezzano o diventano addirittura un quarto. I Kg pianificati sono anch’essi bloccati: per quello che voglio fare, punto a ottenere un 10x2x180 con cintura (ho un 10x1x180 senza cintura). Ragionevole ma impegnativo.
Per questo risultato non posso che impostare il ciclo in questo modo: smilarmente all’accumulo ma a volume ridotto. Nulla di nuovo sul fronte occidentale, anche stavolta. Però la pallottola in faccia come il tipo della frase non la voglio.
L’ultimo allenamento proverò 190Kg, e questo definirà la mia entrata in gara: 180 o 190. 180 lo ritengo molto fattibile dato che già adesso l’ho sollevato molto bene. Però… vedremo.
Per lo stacco passerò ad uno schema a onda ripetuto 3 volte, riuscire a sollevare 230 per delle doppie sarebbe un risultato estremamente buono. Ma mi interessa comunque molto meno.
L’ultimo allenamento di stacco sarà la simulazione del riscaldamento in gara: nello stacco non testo mai i Kg della prima alzata, quella d’entrata, perchè sono troppo impegnativi. L’ultima di riscaldamento fornisce le sensazioni adeguate per capire quanto devo caricare come ingresso. Storicamente, questo test va sempre malissimo, ma fa parte del gioco.
Dopo di che, chi vivrà vedrà.
Pianificare un ciclo per una gara è come sparare ad un bersaglio lontano con un cannone: si fanno le cose al meglio calcolando l’alzo, il vento, la gittata, si usano le tabelle di tiro e il computer per fare centro e nessuno è così deficiente da tirare sulle proprie retrovie. Ma quando il proiettile è in viaggio c’è anche una certa dose di culo perchè colpisca il bersaglio, no?
Spero però di aver dato un’idea di una programmazione reale, con le motivazioni, gli errori, le incognite, i rischi, le idee che ci sono dietro.
Tutto questo a voi non serve, non dovete gareggiare, non avete una scadenza. Ma dovreste, secondo me, assumere parte di questa forma mentale, perchè, alla fine, aiuta a ottenere quello che voi cercate. Gara o sfide personali che siano, sempre risultati sono.
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Un sabato un po’ speciale

 

Il sabato mattina prima delle scuole e dopo le ferie è uno dei sabati più tranquilli e mammellosi di sempre. Zia tattoos è uscita e figlia tattoos dorme ancora come un angelo (con le cornina…). Io giro per la casa in mutande, con il caffé e la barba da fare, in una scena fantozziana, vago per i siti amici (AOS e BBH).

Poi si avvicina il sabato pomeriggio e vado in palestra da Giovanni (AKA TonyMusante nei forum, Le Cupole di Roma, la palestra). Sono le due e mezza e c’è poca gente. Si chiacchera con Giovanni. Poi mi alleno:

Panca
3×3 @ 85
Ora volevo caricare 87,5 ma la seconda era già forzata. Perciò ho scaricato.
3×5 @ 75

Stacco
Dopo il dolore muscolare al gluteo destro, provo a caricare fino ai 150. Tutto bene. Quindi, mi aspetta il corpetto. Titan per squat e stacco.

Con Giovanni siamo andati nei meandri della Palestra che fungono anche da magazzino. Borotalco, sudata terrificante, peli recisi alla radice che manco il Mach3, tirate e sbuffate et voilà, eccomi col corpetto.

Ora non so che pensare. E’ stretto, comprimente. Giovanni dice che va bene per le gambe perché lascia intravedere una sorta di ernia addominale che esce, come da foto…

Provo i 160. Tutto a posto. Allora Giovanni mi consiglia di alzare a 170. Faccio un po’ di singole e sono molto concentrato sull’asfissia e ipoventilazione da corpetto piuttosto che sul peso. Il peso non pesa un cazz.o a confronto della compressione da vuoto pneumatico effettuata dal corpetto. Sembra di essere nella fossa delle Marianne a cercare il relitto del Titanic.

Qui il video: http://it.youtube.com/watch?v=x_Kumn9nnGw

La foto in allegato.

Successivamente, un po’ di complementari

Pressa,
Trazioni 6×6 in SS con Lat prona,
Rematore in SS Shrug,
Hammer curl,
Extrarotatori,

Caffé con Giovanni, Omar e Sara.

Un sabato pomeriggio veramente ben speso, anche se, col senno di poi la domanda "Ma chi me lo sta facendo fare" continua ad eccheggiare nella mia mente.

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Periodizzazione – Supercompensazione per tutti!

Ai bei tempi dell’Atletica Leggera facevamo i pesi dopo l’allenamento, nel casottino di lamiera vicino alle tribune. Eravamo completamente autodidatti, allo stato brado. Non avendo alcun contatto con il mondo e le teorie delle palestre, interpretavamo il “fare i pesi” come una estensione dell’allenamento stesso, perciò applicavamo le stesse idee.
Non eravamo allenatori o preparatori, perciò semplicemente copiavamo quello che facevamo in pista. Era normale per noi avere un diariaccio e uno straccio di cronometro, era normale interpretare gli esercizi in termini di “metto più Kg”, ed era normale impostare una qualche forma di progressione per ottenere questo risultato con un sistema che era “prima ci si fa il culo e poi si trasforma questo culo in qualche altra cosa”.
Del resto il nostro allenatore ci faceva allenare così: una fase di carico invernale, suddivisa in periodi, poi quando iniziava la stagione delle gare si scalava il volume delle prove e si cercava di andare più forte. L’allenatore segnava i tempi sull’agenda e il recupero era una variabile importante. Per forza di cose noi seguivamo anche nei pesi questo tipo di metodologia: non perchè fossimo “imparati” ma perchè eravamo cresciuti in quel modo.
Con mio sommo sconcerto, iniziando a frequentare il mondo del bodybuilding mi accorsi che tutta questa roba era assente, che le persone vagavano a caso in palestra con un foglio in mano, e che, incredibilmente, le grandi novità ritenute necessarie per ottenere qualcosa erano proprio “programmare”, “ciclizzare”, “avere un diario”.
Era assolutamente innovativo quello che ragazzini di 16-18 anni davano per scontato. Ma dove ero capitato?
Mitragliatrice alzo zero. Fuoco.
La cosa che mi ha sempre lasciato stupito del mondo della palestra, per me che vengo da un pianeta dove i pesi sono sempre stati interpretati in maniera “prestazionale”, è che le lotte di religione (presenti in ogni aspetto della vita umana) vertono essenzialmente sul volume di allenamento.

Lo schema sopra riportato è una esemplificazione sintetica ma completa di quanto accade. Lo scontro fra le armate dei crociati BIIsti contro le orde degli infedeli Weideriani è su una retta. Avanti e indietro, per l’eternità. Ma se su Google Maps facessimo lo zoom indietro, scopriremmo una cosa sorprendente più del fatto che la Terra non è piatta.

Gli estremi, si toccano. In questa grande guerra per la supremazia della scheda di allenamento nessuno mette in dubbio che ogni esercizio vada tirato fino all’inverosimile, costi quello che costi: è quello che si chiama “andare a cedimento”.
Sarebbe troppo complicato spiegare perchè c’è il mito del “cedimento oltre la Morte”, fulcro di ogni allenamento, ma a grandi linee il motivo è che il cedimento è semplice da capire: si carica il bilanciere, si picchia duro, doccia. Non si può mai sbagliare, perchè si tratta sempre di andare a manetta. E’ appagante, perchè la retorica del “duro lavoro” è presente in ogni aspetto del comportamento umano, ma lo è anche perchè la scarica di endorfine che segue un allenamento al massimo, tirato e che è andato come uno si sarebbe aspettato è qualcosa di assolutamente drogante.
Complice della diffusione endemica del cedimento mortale è il fatto che le persone non hanno molto tempo per allenarsi (o dicono di non averlo), e se io posso allenarmi 1 o massimo 2 volte a settimana, se manco mi tiro un po’ il collo, ma dove penso di andare?
Il tutto, cioè, è molto logico e consequenziale e per molti aspetti anche corretto. Il problema è che il cedimento, oltre che un metodo, è una filosofia di allenamento che impregna tutte le palestre del mondo.
“Ah che palle che fai, sei bravo solo tu… mediocre di qui, stagnante di là, il cedimento è da deficienti, allora spiegacelo tu che sei tanto bravo”. Ok, ce l’ho fatta a rendermi antipatico? Vi prego di credere che dal vivo io sia molto più alla mano di quanto non sembri su e-carta: balbetto perchè voglio dire le cose troppo in fretta, gesticolo, straparlo. Sopportereste una serata con me, dài… anche perchè lo sport preferito di mia moglie si chiama “sputtanarmi con gli amici”, e vi racconterebbe di quando mi collego con il wi-fi dal cesso o parlo da solo per concentrarmi nello stacco chiuso nella stanza piena di miasmi rivoltanti dato che la scureggia è libera.
Un esempio che spero chiarisca
Che il “cedimento” sia una filosofia risulta evidente quando viene alterata la ricerca scientifica pur di trovare conferma a quello che pensiamo sia giusto.
Avete mai sentito che la produzione di acido lattico sia un fattore importante per l’ipertrofia? L’acido lattico fa salire il pH dei tessuti, c’è un rilascio di GH, sale il testosterone. Oppure… boh… c’è un rilascio di noradrenalina e sale il glucagone, o forse erano acido nitrico e citrato di potassio. Vabbè, in palestra ci sono così tanti biochimici che sanno di sicuro cosa sale e cosa no.
Comunque, l’acido lattico “serve alla massa”.
Ci sono studi che fanno vedere questo, magari utilizzando campioni di studio che sono sedentari larvali. Dove entra il “cedimento” in tutto questo? Alla fine il risultato che di solito si tirano fuori da questi studi è: se il lattato serve, è bene tirare tutto alla morte, intrupparsi di lattato paralizzante per fare massa.
Ma se i livelli di lattato sono importanti, un protocollo che li mantiene elevati permettendo di continuare ad allenarsi non sarebbe migliore? Perchè, cioè, devo fare 1×10 alla morte? Non sarebbe meglio 10×1 con 30” di recupero? Nel primo caso quando l’acido lattico è oltre una certa soglia mi devo fermare, nel secondo posso stare un po’ più basso ma macinare più Kg. E poi, un allenamento in cui eseguo due sedute di fila in modo da tenere il corpo in uno stato di acidosi mediamente per più tempo non è meglio di due sedute distanziate di 3 giorni?
Non dico che io abbia ragione (anzi, non ce l’ho), ma a fronte di idee si cerca sempre la soluzione più semplice: se una cosa serve si tira alla morte.
Ok, e allora?
Mi preme sottolineare che la Teoria della Periodizzazione non prevede la filosofia del cedimento (il metodo sì, perchè è UN metodo). Non può perchè il cedimento isola ogni seduta dalle altre: tiro alla Morte, non mi interessa quello che accadrà. Ma “periodizzare” significa invece mettere in fila le sedute con uno scopo, e ogni seduta ha un impatto su quella successiva e viene influenzata dalla precedente.
Se questo è chiaro in ambito sportivo, è assolutamente impossibile da comprendere in palestra, perchè incredibilmente si ritiene il bodybuilding un qualcosa di diverso dal resto delle altre attività fisiche. Anche io sono cascato in questo errore, e anche io ho passato i miei bravi anni a vegetare con risultati che non mi soddisfacevano.
Poiché il cedimento è semplice quanto appagante, si capisce al volo. Viceversa ficcare nella testa che può non essere la soluzione a tutti i problemi presuppone barbose considerazioni sotto la doccia, quando sotto la doccia solitamente si parla dei tanga delle tipe in sala fitness.
Rendetevi conto che nessun tennista allena il rovescio fino a che il braccio non si paralizza, e nessun tiratore smette di sparare quando è così di fuori da scambiare la moglie per la sagoma. “Allenarsi tanto” in ambito sportivo significa molto spesso “allenarsi tante volte”, ognuna in uno stato di relativa freschezza.
Capite il punto? La filosofia del cedimento è senza memoria: ogni seduta è a se stante.
I vostri progressi negli ultimi anni che tipo di andamento hanno avuto? Come l’emozionante curva blu o piuttosto come la deprimente rossa? Nel secondo caso state galleggiando: magari buoni risultati, ma che non si sono mai superati.
Ripeto: se siete soddisfatti, bene, che problema c’è? Non essendo pagati per allenarsi, va bene così. Ma se leggendo siete incuriositi, sappiate che se potete allenarvi con continuità 3 volte a settimana, qui ci potrebbero essere delle idee forse interessanti.
Avrò supercompensato?
Cosa succede quando mi alleno? Sottoporre l’organismo ad uno stress fisico pone il corpo in uno stato di esaurimento che va recuperato. Sono innumerevoli i cambiamenti chimico-fisici che avvengono (ne esamineremo alcuni in un prossimo articolo sui DOMS), e risulta difficile descrivere gli effetti dell’allenamento utilizzando una miriade di numerelli e di parametri.

Nascono, perciò, dei modelli semplificati. Sottolineo: sem-pli-fi-ca-ti. Uno di questi è la teoria della Supercompensazione.

Questo è un classico dei classici: sebbene sia difficile definire con precisione cosa sia il livello di preparazione, intuitivamente ogni attività/sport ne ha uno. Quale è il parametro che stabilisce se uno è più bravo di un altro o è migliorato rispetto a se stesso in un dato ambito? Difficile esplicitare una definzione. Però è sempre possibile stabilire dei riferimenti… io ho 3x10x100Kg di panca, sono più “preparato fisicamente” di chi a parità di peso etc etc ha 3x10x90Kg, ho fatto 2×180 di stacco e un mese fa avevo 1×180, sono più “preparato”.
La curva blu rappresenta perciò il mio livello di bravura, che gli anglosassoni chiamano preparedness. In ogni grafico che si rispetti su questo tema manca l’unità di misura sull’asse verticale, e questo accade quando il grafico è qualitativo. Ricordatevelo: “qualitativo” significa “che rende un’idea di come dovrebbe essere”, e se è un’idea… non è la realtà. Non fate come quelli che memorizzano questa roba e non gliela togli più dalla mente.
Analogamente, l’asse orizzontale è il tempo, ma nel grafico non vengono mai indicati i secondi, i minuti o i secoli. Anche questo è un andamento qualitativo. Ma in questo caso, ci torneremo sopra.
Ho un certo livello di preparazione, ad un certo punto mi alleno. L’allenamento è uno stress fisico, il mio corpo l’accusa. Ho i DOMS, sono tutto rincriccato, perdo forza. In altre parole, sono impossibilitato per un certo periodo di tempo a fare quello che avrei potuto fare prima di allenarmi. Il mio livello di preparazione decresce a causa dell’effetto indotto dall’allenamento.
A livello microscopico questo calo è dovuto al danno muscolare sui sarcomeri indotto dalla produzione di forza, alla la fuoriuscita dei fluidi cellulari, all’incremento di acidità dei muscoli e del sangue e a 3000 altre cose. Il corpo si prepara per sopperire a questa situazione, cercando di ripristinare le condizioni iniziali.
Il significato della curva che va giù e poi torna su è proprio di condensare in maniera semplice quello che sarebbe più corretto spiegare con pagine e pagine di biochimica: il corpo compensa lo stress. Ma fa di più: si pone in una condizione tale per cui può sopportare meglio un eventuale nuovo stress, diventando più forte. Il corpo super-compensa, portandosi ad un livello più alto di preparazione.
Ma, vi prego, state attenti! La supercompensazione non è solamente un discorso di ipertrofia, c’è molto di più: è specifica. Se la richiesta è “correre più a lungo” ci sarà un aumento di capillarizzazione dei muscoli e un incremento della capacità di trasporto dell’ossigeno e di smaltimento dei rifiuti metabolici, se invece si chiede “devi essere più forte” ci saranno non solo adattamenti nei sarcomeri, ma anche nel sistema nervoso per migliorare le capacità di inviare segnali elettrici ben indirizzati e precisi, se ho bisogno di “essere più bravo a Call Of Duty 4” verrà sviluppata una miglior coordinazione occhi-dita per essere svelti sul pad della PS3
Il modello è lecito e plausibile: del resto lo potete provare sulla nostra pelle, no? Mi alleno, sono tutto rotto, recupero e quando torno a riallenarmi vado “un po’” meglio. Però non dovete farvi fregare dalla semplicità del modello.

Se il corpo supercompensa ogni stimolo, è vantaggioso cadenzare gli stimoli in modo tale da ripartire dal punto in cui il mio stato di forma è superiore alla situazione preesistente: dobbiamo riallenarci quando abbiamo supercompensato, e siamo nel picco prestativo. Così facendo è possibile ottenere un progressivo miglioramento e al termine del periodo di allenamento il mio livello di preparazione è superiore all’inizio. Mi sembra ragionevole.

Viceversa, allenarsi quando non abbiamo ancora recuperato pone lo stimolo in un momento in cui non siamo nel pieno delle nostre capacità fisiche, e perciò la successiva fase di esaurimento risulterà ancora più intensa in negativo. Dare stimoli secondo questa cadenza risulta essere svantaggioso in quanto non diamo modo al corpo di recuperare. Anche questo mi sembra plausibile, del resto allenarsi da stanchi porta a risultati inferiori alle aspettative… o no?

Il giochetto funziona anche al contrario: aspettare troppo tempo fra gli allenamenti porta a superare il picco supercompensativo, con perdita di prestazioni. Il successivo allenamento porta un incremento minore non tanto perchè non sia performante quello che facciamo, ma proprio per la distanza temporale che separa le sedute.
Molto bello, ma adesso che faccio?
Permettetemi perciò una piccola polemicuccia tanto per riscaldare la vostra permanenza al bagno (perchè voi leggete questa roba sopra la tazza, vero? Il bagno è per me meglio della vasca d’isolamento di Stati di Allucinazione per estraniarsi dal mondo esterno). Per correttezza vi dico che su queste cose sono un autodidatta, e che non ho fatto un corso, ma ho saccheggiato letteralmente dispense universitarie, libri e quant’altro, ma oltre a questi e a pochi altri disegnini che vi mostrerò non ho trovato niente di diverso.
Mi sembra che la teoria della supercompensazione sia spiegata tanto per dare una parvenza di infarinatura teorica, tanto per dire che c’è qualcosa che giustifica quello che facciamo, tipo “boh… qualcuno l’ha studiata, a me basta sapere che esiste”. Non si va oltre questi 4 grafici colorati, senza analizzare le implicazioni.
In questo mi tornano in mente le lezioni di meccanica quantistica per gli ingegneri, necessarie a capire il funzionamento dei semiconduttori. Provate a chiedere ad un ingegnere come funziona un transistor, perchè amplifica: tanti bei discorsi su Heisemberg, la barriera di potenziale, i quanti, bla bla bla, poi alla fine si cade nelle spiegazioni degli elettroni a palline. Perchè, alla fine, i transistor sappiamo che funzionano, e li usiamo. Perchè funzionano sono cazzi di altri che si sono fatti due palle a farli andare.
Per la Supercompensazione è la stessa cosa: ok,c’è, ed è quella che spiega certe cose. Dato che poi è pura teoria e non mi fa scrivere un programma, inutile perderci troppo tempo in un corso dove si devono fornire informazioni ben più spendibili.
Perciò uno dei più gravi errori non è dovuto alla teoria in se ma all’interpretazione. Mi spiace se qualcuno si sente chiamato in causa, ma questo è il mio punto di vista. Credo che questa interpretazione sbagliata derivi proprio dal fatto che la teoria viene spiegata nelle prime parti di qualsiasi trattazione, in maniera molto superficiale per poi passare alle cose metodologiche più pratiche.
Ma niente è più deleterio di un modello semplice, d’impatto, che però è spiegato in maniera semplicistica: la teoria così spiegata si cala perfettamente sul senso comune, ma il senso comune molte volte è un cattivo criterio di scelta.
Faccio un po’ di critiche al modello non perchè mi piaccia sempre andare contro, ma perchè, come tutte le cose, un modello è utile fino a quando spiega la Realtà, poi se non lo fa più, si fa evolvere in qualcosa di più aderente a quello che vediamo intorno a noi.

Il Picco del Diavolo

Il punto è: se questo (beep) di picco è così importante, come faccio a beccarlo e a allenarmi in maniera furboscientifica?
E qui che poi si entra nel Gran Casino. Perchè, ragazzi, questo è UN MODELLO. Una curva del genere rappresenta il ciclo di scarica e carica del glicogeno muscolare, da cui tutto è derivato, ma mal si presta a modellare comportamenti complessi. Non ficcatevi in testa questo grafico, perchè vi farete male.
Un primo aspetto critico è che la teoria non indica criteri quantitativi per determinare il picco prestativo. Non lo dice. Non mette nemmeno le unità di misura sull’asse del tempo… Perciò, non potete derivare nessuna indicazione. Ricordatevelo. Vedremo come fare in seguito. Se seguo la teoria in senso stretto dovrei riallenarmi solamente sul picco supercompensativo, perciò il timing dell’allenamento diventa fondamentale. Quasi maniacale.
C’è chi dice “ah non vado, non ho supercompensato”. Ma dove… ma che film avete visto? L’intero vostro corpo funziona come una curva blu disegnata con la Bic? Ma dài… e se invece il picco fosse passato? E quale è un criterio per determinare che inizia la salita verso il picco? Che non ci sono più DOMS? Mmmmmm

Quanto durano questi andamenti? Ok, dài… si parla di qualche giorno, non di mesi, questo è chiaro. Ma per darvi un’idea di quanto possa essere insidioso ragionare su modelli prestampati, immaginiamoci questa situazione: voglio fare squat 2 volte di fila, quale è la distanza ottimale fra i due allenamenti? Aspetto qualche giorno e provo, scegliendo un momento in cui i DOMS sono calati, o “mi sento ok”. Si, ma dopo 2, 3, 4, 5 giorni? Il problema è che la focalizzazione sul picco impedisce una corretta interpretazione qualitativa.

In realtà, se potessimo avere tutto il tempo che ci pare per sperimentare su noi stessi, il momento migliore per rifare squat sarebbe il giorno dopo la prima seduta o, addirittura, effettuare i due allenamenti uno di mattina e uno di sera.
“Ahhhhhhhhhhh eresia, è il Diavolo che parla per la tua bocca”. Aspettate che ho la testa ruotata di 180°… ecco… ora uno spruzzo di vomito verde. Ok, fate finta che stia parlando con voce demoniaca. Mettiamola così: vi è mai capitato di essere disintegrati 2 o anche 3 giorni dopo una potente seduta di squat? Perchè? Direi che è abbastanza antiintuitivo: dovreste essere disintegrati subito dopo, non 3 giorni dopo… ma è così.
Se vi allenate il giorno dopo, l’allenamento viene meglio che nei giorni successivi. A me è capitato molte volte di dover scegliere fra due allenamenti di fila di squat e di stacco o dover saltare il secondo: le volte che ho scelto la prima opzione ho constatato che la cosa era assolutamente fattibile e sorprendente.
Addirittura, anni fa feci degli esperimenti nel fine settimana, con sedute di squat mattina e sera: il calo serale nello squat 1×20 era di 2 ripetizioni a parità di Kg (il 10% perciò) mentre se la mattina facevo un 3×6 e la sera un 2×10 potevo addirittura nel secondo allenamento andare molto meglio. Semplicemente, era come se avessi fatto una seduta sola con una “pausona” di recupero molto lunga, e la curva della supercompensazione non aveva il tempo materiale di flettersi nella fase di esaurimento.
Ora non fate i Bibbì con l’acciaio al cromo-molibdeno colato nel cervello (il Bibbì può raggiungere un grado di durezza mentale superiore a quello dell’ingegnere, che a sua volta è sempre superiore a quello del diamante): non sto dicendo che dovete allenarvi 2 volte di fila o la mattina e la sera, ma che le cose possono essere molto più complicate di una semplice linea blu. Non fissatevi sul timing degli allenamenti, sul picco e quant’altro, vi prego.
Globale o locale?
Il secondo aspetto di una interpretazione troppo rigida è considerare la supercompensazione globale e non specifica. La fatica è sempre specifica e non ci vuole la scala per capirlo: se oggi faccio panca domani o dopodomani posso fare squat anche se ho i pettorali fumanti, e viceversa. Secondo la teoria della supercompensazione sarei in pieno periodo di esaurimento, perciò non potrei ottenere risultati.
Dovremmo entrare nell’ottica apire che di sistemi che supercompensano ce ne sono molti, quanti sono i parametri che variano a seguito dell’allenamento. E ognuno ha il suo tempo per tornare al livello precedente e superiore. Ormoni, muscoli, impulsi nervosi, tutte strutture cellulari che devono supercompensare.
Citando Carlo Buzzichelli, un grande preparatore, “esistono molti sistemi energetici e tutti supercompensano, in intervalli diversi”
Nel disegno ho riportato l’effetto di due allenamenti distanziati nel tempo per due distretti muscolari diversi. Il secondo allenamento risente del primo anche se i gruppi muscolari non sono direttamente coinvolti, semplicemente perchè “siete stanchi”. Il primo allenamento è un elemento di stress come potrebbe essere il non aver dormito la notte: indirettamente causa un effetto.
Il secondo allenamento (curva continua in basso) perciò ha un recupero più lungo rispetto a quanto ci si aspetterebbe se fosse svolto da solo (è la curva tratteggiata – ok, non è che se fate panca oggi lo squat di domani lo recuperate in 10 giorni, è solo per dare un’idea). Ma il secondo allenamento influenza anche il recupero del primo, che evolve secondo la linea continua in alto e non secondo quella tratteggiata relativa ad un allenamento isolato.
L’interazione è mutua perchè entrambi gli allenamenti agiscono sulla stessa entità: voi.
Ho due supercompensazioni, in pratica, che non si susseguono, cioè non è che la seconda parte da un certo punto della prima, come nel primissimo disegno. Però si influenzano. Immaginatevi che quando vi allenate fate partire un sacco di curve di questo tipo, in tempi diversi, con durate diverse, il cui risultato complessivo è di sicuro molto complesso.
Per semplificare, potremmo definire una curva che è l’interazione di tutte le altre, e potremmo chiamarla fatica sistemica, un livello di fatica globale per l’organismo di cui dovete tenere conto. La fatica sistemica rappresenta il livello di stress complessivo a cui sottoponete il corpo, e risente dell’allenamento e di tutti gli stimoli ambientali.
Attenzione: è l’andamento di questa curva che vi manda in overtraining, non le singole. Be careful!!
Perciò, vedete quanto il vostro corpo è complicato? E voi stessi, sicuramente, avete avuto modo di constatarlo. La fatica è sistemica e specifica: “giocare” su questi aspetti porta a potersi allenare meglio e più efficacemente.
Seriale o parallela?
Il terzo aspetto è che la supercompensazione è presentata in modo seriale: stimolo, esaurimento e recupero avvengono sempre in sequenza. Il miglioramento è sempre a seguito di un recupero, e una interpretazione del genere, per gli amanti del bodybuilding è funzionale alla filosofia del Sacrificio Eroico: mi massacro in palestra, poi recupero e la prossima volta sono più forte. Semplice, brutale. Perchè non dovrebbe funzionare? Weideriani e BIIsti discutono del “quanto fare”, ma non del fatto che dopo una battaglia il guerriero abbia bisogno di riposo.
L’esaltazione furiosa per il singolo allenamento porta a non curarsi dell’effetto globale degli allenamenti stessi in un periodo di tempo. In palestra gli allenamenti sono sempre scorrelati fra loro, come già detto senza memoria. Ok, ogni allenamento ha uno scopo: oggi gambe, domani spalle, fra 3 giorni braccia e così via, ma è irrilevante che sia spalle-gambe o gambe-spalle.
La filosofia del Cedimento fa parte di questa visone: io tiro alla morte e recupero, più tiro, più sono bravo. Tanto recupero. Questa visione senza memoria con ogni allenamento non è legato ai precedenti trova nella supercompensazione serializzata la giustificazione “scientifica” di questa filosofia.
Però, come sappiamo, nei vari sport non si ragiona così. Attenzione che considerare il bodybuilding come qualcosa di diverso dalle attività sportive prestazionali è una visione romantica quanto fallimentare, alla lunga.
La teoria della supercompensazione va saputa dominare. Perciò, se siete nella fascia di galleggiamento delle vostre prestazioni, date una chance a quello che scrivo.
Il coniglio dal cappello.
Un classico: sparare merda, far rullare i tamburi e… siore e siori, pensavate di essere fritti e invece ecco la soluzione! Non solo, per la serie “Ah ecco!”, bastava solo premere F10 invece di F11, girare la rotellina a destra invece che a sinistra!
La soluzione non è invece semplice, perchè le cose semplici sono finite da quando il palestraro ha scoperto che nello squat era più facile staccare il bilanciere dagli appoggi in alto che direttamente da terra (non lo sapevate? All’inizio non esistevano gli appoggi per lo squat, e non sto scherzando!)

Come sempre in ambito scientifico, i limiti di una teoria portano allo sviluppo di un’altra. La Dual Factor Theory è un altro modello di semplificazione dei fenomeni biologici connessi allo stress indotto dall’allenamento.

In questa teoria, molto intrigante, il livello di preparazione è dovuto a due fattori assolutamente disgiunti: l’allenamento causa fatica (fatigue) ma anche un miglioramento delle abilità messe sotto stress (fitness). In altre parole ogni volta che mi alleno mi stanco ma anche miglioro, solamente che la fatica, più intensa ma che si esaurisce entro un certo intervallo di tempo, copre il miglioramento, meno intenso ma più duraturo.
Notate che separare le due componenti ha l’innegabile pregio di non dover aspettare il recupero per avere un miglioramento! Non miglioro A CAUSA del recupero, sono già migliorato. Il recupero EVIDENZIA il miglioramento.
La Dual Factor Theory perciò eliminando la serializzazione apre le porte ad una interpretazione dell’allenamento in cui non occorre aspettare il picco per riallenarsi, ma è possibile considerare l’effetto cumulativo di sequenze di allenamenti in cui lo scopo è “migliorare” tenendo a bada la “fatica”.
Anche in questo caso, però, denuncio nel materiale che ho trovato una certa fretta espositiva, che banalizza quello che è un modello interessantissimo.Il problema è che usata male questa teoria equivale a fornire una motosega ad uno che sente la voce di Dio nel cervello: le possibilità di stragi aumentano notevolmente.
Se il miglioramento è disgiunto dal recupero, tutte le sette del Volume Stellare trovano una giustificazione scientologica a massacrarsi di sedute, a fare quantità piuttosto che qualità. Ho trovato degli schemi che si suppone basati su questa teoria che sono delle orge di allenamento, raccapriccianti. Tanto, c’è qualcuno (la teoria) che dice che va bene e che basta allenarsi fitto fitto perchè si migliora comunque…
Oltre a questo terrificante aspetto, se concettualmente è una rappresentazione valida e “ganza”, avere due curve rende meno immediata l’assimilazione del tutto.
In più, come sempre nel Bibbì, quando ci sono due scuole di pensiero non è che c’è un confronto sereno e costruttivo, ma discussioni a base di bazooka caricati a pomodori e uova marce.
La supercompensazione eretica secondo Paolino
Ok ok, esagerato, presuntuoso… il solito. Mettiamola così: non è che ho inventato una teoria che ha il mio nome, ma vi illustro quello che io ho capito e che secondo me serve a persone normali che vogliono allenarsi decentemente. Non devo allenare Bolt del resto, no?

Partiamo da un particolare schema di allenamento della teoria della Supercompensazione, il microciclo shock.

Se le sedute sono messe in modo tale da allenarsi nel periodo di esaurimento, la stanchezza aumenta. Dando modo all’organismo di recuperare otteniamo una maggiore supercompensazione. Il microciclo shock trova post proprio nella teoria della supercompensazione. Viene usato per superare uno stallo, per incrementare le prestazioni, ma… perchè funziona? Questo è un punto in cui le spiegazioni che ho trovato non sono poi chiarissime.

Perchè dovrei avere un risultato superiore se gli stimoli sono seriali e indipendenti? E’ un punto importante, a mio avviso, che non viene trattato con attenzione.

La spiegazione che si trova è che gli allenamenti sono visti come una specie di “allenamentone”, perciò ad uno stimolo superiore corrisponde un adattamento superiore. Fermi tutti, non andiamo oltre come si fa di solito: soffermiamoci sul fatto che, anche nella teoria della Supercompensazione, in qualche parte della trattazione alle masse, gli allenamenti sono considerati concatenati, legati fra loro.
Il punto è che questo aspetto è relegato ad una parte della visione complessiva: la parola “shock” indica una situazione di “fuori dalla norma”, altrimenti che shock sarebbe? In realtà il corpo umano funziona SEMPRE in questo modo, considerando gli stimoli nel tempo in maniera globale.

Partiamo invece di qui: sapete cosa succede ad allenarsi sempre con questi “shock”? Farete il botto? Troppo stress?Mmmmm io dico che facendo le cose in un certo modo, lo shock diventa la normalità.

Ovviamente, non poteva mancare la genetica. Appare evidente a tutti che la capacità di recupero da un allenamento sia estremamente variabile da individuo ad individuo: è una individualità come la percentuale di fibre, il tipo di sistema nervoso, la capacità di stoccare grasso o muscolo.
Però, a questo punto, non viene mai fatto il passettino successivo. Ogni caratteristica umana ha due aspetti: il suo valore assoluto e la sua capacità di variazione. In altre parole, ogni aspetto umano può essere “allenato”. Ci sarà chi parte da un livello superiore a quello di un’altro, ma ognuno può allenare quello che ha e migliorare, no? In altre parole, lo sfigato può diventare meno sfigato, e “quanto meno” è una caratteristica: ci sarà quello condannato all’eterna dannazione, quello che potrà raggiungere il Purgatorio e quello che andrà in paradiso. Ma comunque è possibile una forma di allenamento.
Perchè, pertanto, la capacità di recupero non potrebbe essere allenata? Non fatevi ingannare dai grafici che di solito trovate: hanno tutti in comune una cosa: la forma delle curve blu è sempre la stessa, variando solo l’altezza ma mai la larghezza.
Mi lascia molto perplesso (nel senso vulcaniano del termine che mi fa assumere quell’espressione tipica del Signor Spock con un sopracciglio sollevato) quando leggo le argomentazioni sulle paleodiete dove i paleofan si lanciano in pindarici voli senza paracadute, per poi non proseguire con il proprio pensiero anche in altri campi. Il corpo umano è fatto per tollerare volume di lavoro. Volume medio-basso e prolungato.
Milioni di anni fa non è che facevano lo squat ME con gli elastici, ma piuttosto migrazioni al freddo e al gelo o sotto il caldo torrido, per giorni, mesi, con pochissimo cibo, dormendo all’aperto. Oppure, senza andare alle ere di Noè, immaginatevi i marinai nelle spedizioni di Magellano, mesi in barche che non erano quelle dell’MSC o della Costa eh… eppure? Molti morivano, ma molti no. Adattamento.
Oppure, meno drammaticamente, avevo amici quando mi allenavo che d’estate andavano a lavorare al frantoio, turni di giorno e di notte, lavorino poco simpatico. I primi giorni erano di fuori, poi però si allenavano un po’ e alla fine riuscivamo anche a ottenere dei risultati decenti.
La più potente macchina adattativa dell’Universo, sopravvissuta a milioni di anni di Evoluzione si fa mettere in ginocchio da due allenamenti in croce? Ma dài…
Ora un esempio su cui ragionare: diciamo che avete 3x6x120Kg di squat, e vi premiano come “impiegato del mese” non se fate 3x6x140Kg, ma 3x6x110 Kg 3 volte in una settimana. “ah ma è impossibile”, “ah ma io sono un hardgainer”. Ok, l’impiegato del mese solitamente è il più leccaculo, ruffiano, antipatico e saccente dell’ufficio, perciò non vale la pena sbavare per questa roba. Se però fate 3x(3x6x110Kg) avete la possibilità di torturare con l’elettricità il vostro capo senza conseguenze legali.
Ecco una strategia: supponiamo che normalmente vi alleniate ogni 5 giorni con allenamenti tipo 3x6x100Kg (supponiamo eh… è un esempio, cazzarola!)
1.      Partite con uno squat da 5x6x80Kg – facile, no?
2.      Recuperate 4 giorni invece di 5
3.      Squat 5x6x80Kg – ce la fate bene
4.      Recuperate 3 giorni invece di 4
5.      Squat 5x6x80Kg – idem, ce la fate bene, non lagnate, sono 80Kg…
6.      Recuperate 5 giorni
7.      Tornate al punto 1, caricate 5Kg in più e ripartite per altre 2 volte. Incredibile, siete a 5x6x90Kg. E ce l’avete fatta bene, l’ultimo 5x6x90kg un po’ faticoso e impastato. Terminato il giro, andate al punto 8
8.      Passate a 4x6x95Kg e ripetete il giochino, poi fate anche 4x6x100Kg. Lo so che non ci credete, ma ce la farete. Scalare di una serie rende il tutto più fattibile.
9.      Passate a 3x6x100Kg, poi a 3x6x105Kg e infine a 3x6x110Kg, sempre secondo questa logica. Alla fine avete fatto 2 allenamenti di 3x6x110Kg con 3 giorni di distanza. Questo è il giro più difficile.
10. L’ultima settimana fare lun 3x6x110Kg, mar 3x6x110Kg, sab 3x6x110Kg. Le vostre capacità di recupero sono migliorate, perciò 2 allenamenti di fila li reggete, poi recuperate 4 giorni e fate il terzo. Fine, avete vinto.
Non venitemi a cercare se non vincete il premio, è un esempio. Non so se ce la farete, dài… ma di sicuro riuscirete a svolgere allenamenti di cui non pensate nemmeno di avere la possibilità.
La capacità di generare volume di lavoro è quella più facilmente allenabile se vi purificate della logica del Sacrificio. Puttana Eva, c’è gente che perchè si allena un po’ di più o fa un po’ di aerobica pensa di evaporare come neve al sole… ma il corpo umano si adatta meglio al volume che all’intensità.
Ah… c’è da chiedersi a che servirebbe una roba del genere, ma questo lo vediamo dopo.

Il grafico qua sopra illustra quello che accade quando comprimo la distanza fra le sedute (le barre rosse si avvicinano): con la giusta combinazione di carico, volume e intervallo di tempo fra gli allenamenti, la curva del recupero si schiaccia fra le sedute, cioè il corpo umano impara a recuperare prima. Oltre alla capacità di spostare grandi carichi, il corpo umano può migliorare la capacità di recuperare fra sessioni di allenamento!

Quello che accade è che voi diventate più bravi a recuperare fra una seduta e l’altra, cioè la curva verde del miglioramento sale anche se siete stanchi. Migliorare le capacità di recupero significa tante cose: migliorare l’efficienza di ogni ripetizione in modo da sprecare meno energie in ogni sedute, migliorare le capacità di rigenerazione dei tessuti danneggiati, migliorare le capacità di trasporto dell’ossigeno e lo smaltimento delle scorie metaboliche. Di sicuro in un tempo limitato non è che “fate massa”, ma il concetto è che la fatica sistemica (curva marrone) cresce meno del previsto, con un conseguente mantenimento di certi livelli prestazionali fra seduta e seduta.
Quando voi diminuite il volume, la frequenza o qualche altro elemento di stress, il miglioramento si può manifestare: se prima ero capace a mantenere un dato livello con quel volume di lavoro, adesso posso far salire il livello perchè non ho più il volume che mi stressa.
Mi raccomando: non sto dicendo che d’ora in avanti dovete fare un sabba orgiastico a base di 50 serie di stacco in allenamento, solo che tutto, ma proprio tutto è allenabile, e la capacità di sviluppare volume di lavoro è una delle caratteristiche importanti.
Tutto si gioca sui volumi e sulle intensità, perchè a sbagliare è un attimo e lo stesso meccanismo apre le porte all’overtraining. Ma solo chi non si allena non rischia di andare in overtraining, ed è questa la sfida di tutti gli allenatori sportivi: far migliorare costantemente i loro atleti senza stressarli.
Se infatti esagerate la fatica sistemica sarà troppa e l’andamento delle vostre prestazioni sarà proprio quello del microciclo shock. Ma se fate così su base regolare state toppando, e il recupero alla fine sarà sempre di meno. Perchè è sempre il solito giochino dell’adattamento: il corpo si adatta se gli fornite stimoli tali per cui può farlo, altrimenti… soccombe per proteggervi: se la vostra mente non capisce quando è bene smetterla, lo farà il vostro corpo per voi,.

Cosa succede perciò nel tempo, se ci si allena “bene”? (e voi che leggete volete allenarvi bene, no? E io che scrivo vi dirò come allenarvi “bene”, no? Eh eh eh)

Nel tempo quello che inizialmente è un periodo shock diventa meno shockante la seconda volta, e ancora meno la terza, diventando la normalità. Vediamolo su scala più grande e meno dettagliata. Ecco il risultato:
Su scala più grande, ecco ciò che accade: ritroviamo la curva della supercompensazione. E ancora, sul mesociclo e fra i mesocicli. In una preparazione seria gli allenamenti sono legati fra loro, le settimane sono legate fra loro, i periodi più lunghi sono legati fra loro. Di anno in anno ritrovo questi andamenti a tutti i livelli, curve che vanno giù e su che a loro volta sono l’inviluppo di curvettine che vanno giù e su e così via.
Ma perchè i miglioramenti si ottengono con andamenti altalenanti? Perchè il corpo umano può sfruttare le sue capacità di adattamento. La Teoria della Periodizzazione, e una comprensione più profonda della Supercompensazione (che sia la classica o la dual) non sono altro che dei modi di formalizzare in bella copia il comportamento dell’essere umano sotto stress. Il “giusto stress” va fornito in questo modo.
C’è chi questa caratteristica del suo corpo non riuscirà mai a vederla, perchè non pensa che sia possibile, ma in realtà in qualsiasi attività sportiva questo è un classico.
Conclusioni
Ok, a questo punto avete i testicoli così frantumati che potete metterli in una bottiglietta da quanto i pezzi sono piccoli. So benissimo che, come sempre, la domanda è: “ma a noi?”. Questo sarà l’oggetto del resto della trattazione. Ma prima spero di avervi convinto che aumentare la propria capacità di lavoro, nei limiti di quanto ognuno di noi può, sia possibile.
E’ da decidere se serva o meno, e, se serve, quanta ne serve. Ma intanto ci sono elementi che stabiliscono la fattibilità del tutto: una teoria della Supercompensazione un po’ più robusta di quelle che avete sempre letto.
Il messaggio con cui vi lascio è che il corpo ha una memoria, e lega, anche se voi non volete, gli allenamenti fra loro. Potete far finta che non sia così, e subìre il fenomeno, o accettarlo, comprenderlo e dominarlo.
Nel prossimo articolo spero di poter mettere in bella copia quello che per me è uno dei più potenti mezzi di allenamento, incredibilmente devastante negli effetti che ho visto su di me: la capacità di trasformare il volume in intensità
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Periodizzazione – ma… a noi serve?

L’Estate finisce ufficialmente il 23 Settembre, ma in Italia dopo Ferragosto siamo già nella fase calante delle vacanze, delle ferie; se fa caldo, è un caldo diverso, non è più quello dell’Estate… E’ un’atteggiamento mentale. A Settembre ricomincia la scuola, riprende il tran tran quotidiano.
Ma se c’è la tristezza delle belle giornate che finiscono, delle avventure che terminano, del grigiore di una nuova stagione fredda… ecco che contemporaneamente c’è la grinta, l’entusiasmo, la voglia di fare bene per la nuova stagione culturistica che sta per iniziare!
Cosa c’è di più incredibilmente elettrizzante per noi palestrati della domenica rispetto al fare i buoni propositi per la palestra o al pensare la prossima, micidiale, emozionante scheda di allenamento che ci proietterà nel firmamento dell’Olympia dei Poveri?
Dài… io è una vita che dico “a Settembre”. E’ così non solo in palestra, ma in tutte le cose della vita: buttare via il quaderno vecchio e partire con una prima pagina bianca e pulita, è più facile che correggere i vecchi scarabocchi.
Ragazzi, vi ringrazio
Ho ricevuto molte e-mail interessanti: in circa 500 mi si chiedeva un parere su come sarebbe opportuno programmare i vari periodi dell’allenamento, come intercalare i cicli di massa a quelli di forza, nelle altre 200 delle domanda secche del tipo: “come devo allenarmi?”. Ok, le e-mail erano due, ma il delirio di onnipotenza fa strani scherzi.
Sapere che ci sono persone che hanno fiducia in me da pormi domande così complesse mi riempie d’orgoglio, e non posso che ringraziare i miei e-amici di e-penna.
Le domande sono difficili e intriganti, e ci ho pensato un po’ sopra. Voglio darvi la mia risposta, onesta: ragazzi… non lo so.
Il punto è che io, come “autore”, ho le mie preferenze, le mie fisse, le mie antipatie. Se dovessi dire perchè io mi alleno come mi alleno, il motivo è, alla fine, questo: io mi alleno così perchè a me piace allenarmi così.
Di conseguenza, i miei scritti sono influenzati da questo mio modo di affrontare il problema “allenamento”. Uno che adora maniacalmente lo stacco da terra massimale come può strutturare un ciclo di massa basato sulle serie giganti? O impostare un ciclo di ipertrofia abbinato ad una dieta metabolica? E’ semplice, non può.
Noto che questo problema è comune anche a grandissime figure, non solo alle fantozziane merdacce come me: ogni autore ha il suo stile, ed è impossibile perciò che possa scrivere in maniera universale per una platea variegata quanto sono le individualità di coloro che si allenano.
Questo accade perchè anche gli autori sono esseri umani. L’onestà intellettuale consiste nel dominare il loop “piace a me -> deve andare bene a tutti”.
Ho provato a scrivere una ipotetica bozza di programmazione in un ciclo annuale, ho cancellato almeno 4 volte i paragrafi, poi mi sono rotto le palle: il tentativo di scrivere qualcosa di generale e presumibilmente utile per tutti non mi è riuscito. Allora ho deciso di provare un approccio differente.
Una triste storia… forse vera.
Facciamo un po’ di profiling, come l’FBI di Quantico. Escludiamo da questo giochetto un po’ di tizi, però.
Eliminiamo subito quelli che fanno i pesi “per stare bene”, perchè gliel’ha detto il dottore, perchè i pesi si fanno al chiuso e correre d’inverno dopo cena è un problema. Questa gente ha tutti i rispettabili e leciti motivi di andare in palestra. Però… via, aria. Quando io mi allenerò per stare bene, per fare mantenimento, per essere in forma, mancheranno circa 5′ alla mia morte, perciò voglio esorcizzare queste persone che rappresentano le mie paure ancestrali.
Eliminiamo anche i ragazzetti (perdonatemi, voglio essere sincero) della serie “la palestra è la mia vita”, quelli dell’Uni, quelli della sQuola, quelli che hanno pochi anni di allenamento e vanno avanti con l’entusiasmo deflagrante. La forza bruta della passione permette sempre di conquistare le prime linee nemiche, non importa quali siano le perdite. Oramai ho passato questa fase, il kevlar del mio giubbotto antiproiettile è scheggiato, l’elmetto è sfondato e le pallottole delle cazzate mi feriscono più di prima. Pompare senza ragionare, per quanto sia stato fantastico, mi porterebbe a distruggermi le articolazioni.
Infine, eliminiamo quelli “hey raga voglio definirmi ma non voglio mettere su massa” o “hey raga me la fate una scheda” perchè credo che con i cerebrolesi sia bene mantenere un atteggiamento accondiscendente tipo “si, si ora la facciamo la scheda”, non si sa mai che possano avere degli scatti d’ira schizofrenici.
Teniamo, invece, le pedine che rappresentano coloro che hanno partecipato molte volte al Gioco Dell’Oca dell’Allenamento, che sono arrivati ogni anno al 90 e ogni anno successivo sono ripartiti per un nuovo giro. Persone che… giocano, insistono, che perseverano. Ci sarà chi ha ottenuto i risultati sperati, chi meno di quanto si sarebbe aspettato.
Ma anche quest’anno, altro giro altra corsa!
Ci sono persone che le hanno provate un po’ tutte, tutti gli schemi, tutte le ciclizzazioni, tutte le teorie. C’è anche chi ha trovato dei legami fra le varie tessere di questo puzzle gigantesco, chi ha anche messo insieme parti grandi del disegno ma poi queste non si agganciano fra di se.
Cosa hanno in comune tutte queste persone? Che ogni anno è sempre più difficile trovare un motivo per allenarsi, per fare i pesi, per andare avanti. Perchè certi risultati sono stati conseguiti, perchè i nuovi miglioramenti stentano ad arrivare o procedono con lentezza geologica.
Ok, ora una bella toccata di genitali, per la triste storia che racconterò. Studi scientifici hanno dimostrato che stringere i testicoli lungo l’asse polare porti più fortuna che farlo sul piano equatoriale. Provate, tanto è gratis.
La triste storia è questa: a Settembre c’è l’entusiasmo della ripresa, nuovi buoni propositi per l’anno che viene, nuova energia. Si torna in palestra, si ritrovano vecchi amici, il riposo dell’Estate ha fatto ricaricare le pile, c’è voglia di spaccare tutto. Nuovi programmi si materializzano nella nostra mente, idee brillanti, intuizioni geniali. E poi gli amici, le pacche sulle spalle, l’atmosfera coinvolgente tipica del rientro.
L’allenamento inizia alla grandissima, sembra impossibile ma proprio nel mese della ripresa, quando meno ce lo aspettiamo, otteniamo dei risultati insperati. I carichi crescono ma non solo: posso fare un casino di roba che prima non potevo fare! Ma se a Settembre sto da Dio in questo modo, a Maggio prossimo la palestra deve comprare un nuovo set di pesi da 20Kg!
Ottobre e Novembre scorrono via facili, anche se siamo meno brillanti, i miglioramenti iniziano a rallentare. Non è che ci sia un regresso, ma… c’è un calo. La mega-scheda del nuovo libro del guru di internet si rivela più difficile del previsto, un po’ di problemi familiari, un po’ di casini al lavoro, però si insiste lo stesso.
Dicembre va male, perchè l’entusiasmo non c’è più, come i miglioramenti. Si provano altre idee, altri schemi, altre teorie. Tanto ci sono le vacanze di Natale, faccio un po’ le cose a braccio, sparse, provo, poi dopo le vacanze riparto alla grande.
Il problema è che le vacanze natalizie non portano quella ventata di vigore che ci si aspetterebbe, e ci ritroviamo dopo la Befana con poco entusiasmo, tutte le idee galattiche già esaurite, senza stimoli. Et voilà, si inizia a deragliare: niente è più devastante delle aspettative deluse.
Perciò un nuovo, ennesimo anno dedicato al galleggiamento, a auto-giustificarsi dicendo “ma io ho X anni, non è che alla mia età ce ne siano tante di persone come me…”. E non è che X vale 50 o 70. Basta che siate persone che lavorano non sedentarie over 27 anni per trovare una giustificazione a quello che fate, visto che è facile elevarsi sopra il livello medio dell’uomo-che-non-fa-un-cazzo, sposato/convivente/fidanzato, con prole e lavoro.
Senza barare, quanti che si allenano da un po’ di anni hanno visto questo film nel cinema della loro vita? Io ce l’ho in cassetta, e qualche volta l’ho visto anche in DivX, così posso mandare avanti veloce il cursore saltando le scene lacrimevoli dell’eroe abbandonato dalla moglie perchè lei, insensibile e crudele, non capisce il dramma di non poter arrivare a 42.5 centimetri di braccio.
Potete evitare tutto questo? Mi piacerebbe dirvi di sì, darvi la soluzione, perchè farei un sacco di soldi. La risposta è, anche stavolta, “non lo so”. Però possiamo attingere alle teorie dell’allenamento per cercare, se non altro, di capire perchè molto spesso proiettano questo bruttissimo film dove i buoni perdono sempre.
Quello che dicono i Sacri Testi
L’arte di mettere in fila gli allenamenti per tirarci fuori qualcosa di buono nasce nei paesi dell’Est, nell’ex CCCP. La periodizzazione, in una definizione che farebbe vomitare Tudor Bompa, è un modo di spezzettare e raggruppare i periodi dell’allenamento per rendere più semplice il raggiungimento di uno scopo ben preciso. Essenzialmente, una competizione o una serie di competizioni
Quando si parla di queste cose di solito ci troviamo spiattellati degli schemi di allenamento annuali dove è pianificato che dovete andare a pisciare fra la 4° e la 5° serie di squat del 3° allenamento settimanale del 7° mese a partire da… aspettate che faccio partire il cronometro… da adesso.
La domanda lecita, plausibile e doverosa che tutti si fanno è: ma tutta questa roba, mi serve? Io che non devo gareggiare, non devo competere in niente, non ho scadenze ma allo stesso tempo non ho mai la sicurezza di potermi allenare con regolarità, che ho gli impegni di una persona “normale”… che ci faccio di tutta questa barbosità?
Per quanto la domanda sia corretta, la risposta, valida a mio avviso in generale, è che conoscere porta sempre dei benefici: leggere 1000 per ricordarsi 100 per sapere 10 per spiegare 1. Apprendere è un processo faticoso. Ma ne vale la pena.
Perciò, partiamo dall’inizio.
Il perchè esiste una teoria.
L’errore che io rilevo spessissimo, quasi tipico, è che quando si parla di periodizzazione si dà enfasi al “come fare le cose” senza spiegare “perchè si devono fare così”. Dovete vedere la teoria della periodizzazione come un modello che descrive il modo più performante per ottenere i risultati nelle attività sportive, o, se volete, nelle attività “fisiche” in generale.
Il modello è chiaramente ambizioso, perchè vuole essere generale per tutti gli sport, di squadra e individuali, per le arti marziali come per la ginnastica, ma anche per il motocross e il polo. Il fatto che però sia universalmente accettato denota che, evidentemente, ci siano delle caratteristiche comuni nelle attività più disparate.
Per quanto noi non dobbiamo competere in nessuno sport, svolgere pesi è una attività fisica. Poiché noi vogliamo ottenere qualcosa, stiamo svolgendo una attività fisica finalizzata ad un obbiettivo, qualsiasi esso sia. Questa teoria ha perciò per noi un valore, ed è perciò bene che capiamo quello che possiamo utilizzare.
Entrate nell’ottica del “mi serve”, così la vostra attenzione sarà stimolata. Viceversa, se pensate che siano tutte (beep) inutili, i vostri occhi leggeranno i caratteri del testo, ma non il vostro cervello non li comprenderà, come se fosse scritto in klingoniano antico.
Il faro che illumina nella notte: la motivazione.
Soffermiamoci sul fulcro su cui si appoggia la teoria: esiste una competizione, qualsiasi essa sia. La competizione sottointende cioè che l’alleanamento abbia uno scopo. Non ci si allena a caso o per il gusto di farlo, ma ci si allena per uno scopo. Remember!
Sembra impossibile, ma per voi che è diversi anni che vi allenate la motivazione è il driver fondamentale. Anzi, è la mancanza di questa che vi porta a deragliare e a sprecare il tempo. Pensateci: perchè vi allenate? Datevi una risposta. “Eh, facile… perchè… perchè…”.
Ecco. Volete qualcosa di indefinito che non sapete scrivere. E scrivere significa coaugulare dei concetti, metterli in fila in maniera intelleggibile. Per questo formalizzare delle intuizioni in una frase è sempre un gran casino.
Questo è la “killer question”: è anni che vi allenate, perciò il tempo ce lo buttate via, no? Avete superato la fase della novità, del bambino con il giocattolino nuovo. Perciò… c’è di più. Cosa? Mi permetto di dirvi che se state annuendo a quello che leggete, voi vi allenate perchè… volete capire. Capire le regole di questo strano gioco, del perchè si ottengono o meno certi risultati. La “sfida” è: se ottengo risultati allora capisco come funziona il meccanismo, e sono “più bravo” nel campo dell’allenamento. E io voglio essere bravo nell’allenamento, perchè è quello che mi piace.
La motivazione fondamentale, positiva e costruttiva, è che siete curiosi. Ok, fra di voi ci sarà anche quello con i problemi che fa i pesi per compensare qualcosa. In fondo, anche io sono una caricatura da rivista di psicologia comportamentale. Però, se il motivo per cui dedichiamo tempo a questa roba rispetto ad altre è la curiosità, questa è la motivazione giusta che permette di perseverare nel tempo.
Perciò, a questo punto della vostra “carriera” dovete imparare a darvi degli obbiettivi. Non “voglio essere grosso, forte e definito”, ma qualcosa di più focalizzato. Dovete trovare delle motivazioni concrete per insistere ad avere lo stimolo ad allenarvi.
In altre parole, dovete convertire la vostra curiosità in di mettervi alla prova, liberarvi dei pregiudizi e buttarvi in qualcosa che mai avreste provato. Funziona.
Un obbiettivo sfidante è qualcosa di difficile ma fattibile. Lo so che questo fa molto corso di problem solving aziendale, ma è così che funziona. Alcune idee: voglio migliorare di 10Kg la panca, voglio ottenere 3Kg in più di peso corporeo, voglio una plica addominale inferiore a 1mm rispetto a quanto ho adesso.
Cose semplici su cui concentrarsi. La teoria dell’allenamento prevede una competizione. Inventatevi una competizione: non aver niente per cui gareggiare porta a non avere un motivo per cui allenarsi. Perciò, la curiosità e la voglia di mettersi in gioco è fondamentale per potersi allenare con successo negli anni a venire.
Poi, potete anche non credermi, potete pensare che siano sparate da marketing o meno, ma il punto di partenza per “allenarsi bene” è proprio avere idea di quello che si vuole. Non subito, ma dopo qualche anno è così.

La regola di base

Il ciclo generale della teoria è sopra descritto: per una competizione è necessario allenarsi, e dopo una competizione è necessario un periodo di rigenerazione.
Detto così sembra così banale da rasentare l’Ovvio Supremo: è ovvio che dopo un periodo superintenso come può essere un torneo importante ci voglia un po’ di recupero… come è ovvio che mi debba allenare per una gara. Il punto è che questo è proprio l’approccio formale al problema: il fatto che una cosa sia ovvia non significa che sia vera sempre, magari lo è in un contesto e non in generale. L’”ovvietà” è una caratteristica molto locale…
La Teoria dell’Allenamento stabilisce proprio che questo sia il ciclo migliore per ottenere risultati, un risultato, direi, non banale. Ad esempio, se si legge tutto il “giro” c’è un punto in realtà poco ovvio a molti: per allenarsi bene è necessario un periodo rigenerativo rispetto al picco di prestazioni. Esiste, cioè, una ciclicità che prevede fasi di carico e di scarico. Tirare sempre tutto l’anno è impossibile. Chi lo fa, dice più che altro di farlo e sicuramente otterrebbe di più con un approccio secondo questa sequenza.
Senza mezzi termini, uno straccio di periodizzazione ce lo dovete avere, anche perchè, comunque la mettiate, lo subirete: quelli che fanno il botto più grosso, i veri delusi, sono quelli che tirano sempre e comunque. Periodizzano in maniera compulsiva, variazioni di carichi in cicli di grandi entusiasmi e incazzature mostruose. Oppure un infortunio, o la perdita di motivazione per cui si dà importanza ad altre cose (non è detto che sia un male, anzi), per cui alla fine ci sono periodi di “rigenerazione forzata”
Che voi gareggiate per il Torneo della Repubblica delle Galassie o per il piacere di migliorarvi, è assolutamente necessario una forma di variazione ciclica dei parametri dell’allenamento.
Aggiungo che se analizzate i vostri migliori successi o i fallimenti più catastrofici troverete nel primo caso una ciclizzazione accidentale e casuale, mentre nel secondo l’assenza di tutto questo.
Come ciclizzare
Nel modello la stagione agonistica viene ripartita in varie fasi o periodi in modo che ognuno di questi blocchettini abbia una sua funzione specifica nell’ambito del disegno globale. Poi ogni blocchettino viene ulteriormente dettagliato, eventualmente suddividendolo ancora, fino al livello che ci interessa.
Sulla base del calendario delle gare viene redatto un piano annuale, che a sua volta viene mensilizzato e a sua volta ogni mese viene suddiviso in settimane. La divisione anno-mese-settimane è solo di comodo, e ovviamente è possibile raggruppare, che so, 3 settimane in una unica entità funzionale, come potremmo usare unità elementari non settimanali ma di 5 giorni o meno. Però, alla fine, per praticità non lo fa quasi nessuno.
Le unità di base si chiamano microcicli, l’insieme di più microcicli (2-6, tipicamente 4 per fare un mese) si chiama mesociclo, l’insieme di più mesocicli si chiama macrociclo.
In una trattazione più rigorosa potremmo entrare nel dettaglio delle definizioni di queste parole e così via per tutto il resto, ma le mie conoscenze non sono così ferrate, e mi preme dare un’idea delle parole che vengono usate nel gergo da palestra. Per quello che ci riguarda un microciclo è la scheda settimanale che ci viene propinata, un mesociclo è come questa scheda si evolve nel tempo.
Notate che in palestra ci appioppano una scheda ma non ci dicono mai come i vari parametri dell’allenamento debbano variare: è nel mesociclo che la scheda prende vita. Senza variazione dei parametri state guardando un film composto da un frame singolo: dura arrivare alla fine del primo tempo…

Senza fare tanti discorsi astrusi: panca 3×6 non significa nulla. Oggi faccio 3×6, ma la prossima volta come devo variare i carichi? Li lascio uguali, li faccio salire, e di quanto?

Ecco un classico grafico che fa impazzire i maniaci di queste cose perchè… è bello da vedersi, sufficientemente colorato da poterci fare un poster, sufficientemente incasinato da dire “io ci capisco di programmazione”. Un po’ come quelli che hanno appesa in casa la tavola periodica degli elementi, o il poster con le costellazioni, magari quelle dell’emisfero australe anche se siamo nel boreale, ma è un dettaglio, dài…
Ah… per tutti gli ingegneri: alle donne non gliene frega niente della tavola periodica. Lo so che rovino un mito, ma lo faccio per voi.
Possiamo evidenziare i seguenti macroblocchi:
l        Il ricondizionamento detto anche introduzione o adattamento o attivazione. Ha lo scopo di preparare l’organismo alle fasi successive e impegnative, in maniera graduale e progressiva, in modo da non avere problemi quando si inizierà a dare gas.
l        La preparazione vera e propria, la fase specifica dell’allenamento per ottenere risultati. Questo blocco importante verrà ulteriormente suddiviso. Qui possiamo definire dei periodi di forza e di ipertrofia e ci sono discussioni spasmodiche sul fatto che sia meglio fare prima l’una dell’altra o il viceversa. Poi, sicuramente è presente una fase di conversione, che so… in resistenza o potenza, a seconda dei vari sport.
l        La fase della competizione, in cui è necessario sfruttare e mantenere il più possibile i risultati conseguiti nel periodo precedente, possibilmente affinando e migliorando. Se la fase della preparazione è complessa, questa è pura arte, e ci vogliono anni perchè un allenatore la padroneggi al meglio. A grandi linee, immaginatevi questo: se ho un calendario di gare molto impegnativo, non avrò tempo di allenarmi perchè le energie saranno rivolte alle gare. Ma se non mi alleno perdo la forma. Perciò questa è la magia degli equilibri.
l        La fase di transizione o rigenerazione che segue una stagione di gare. Qui non si tratta semplicemente di riposarsi e di non allenarsi, però, senza farla troppo lunga, in questa fase si ricaricano le pile interne per essere pronti ad una nuova stagione di allenamenti.
Ma cosa sono quei blocchettini tanto carini? Notate che non ho messo le unità di misura sull’asse verticale. Qui si entra nel dettaglio del modello, quando non mi ci vorrei molto addentrare.
[divagazione mode on]
Avete mai notato come molti autori scrivano “non mi ci vorrei addentrare” o qualcosa di equivalente, come a voler dire “ok, questa è roba complicata, io la conosco ma devo per forza semplificare per voi tapini, barbari e incolti”. In realtà, mi ci gioco il tegolino della mia merendina proteica, questa è una scusa per le proprie carenze teoriche, tanto il pubblico… sa una sega (detto in toscano), prende per buono lo scientismo dei paroloni, magari in inglese, e vuole i risultati e basta. Ok, sono cattivo, anzi, kattivo con la K. Mettiamola allora così: io conosco poco la Teoria dell’Allenamento, non mi ci voglio addentrare perchè poi direi delle idiozie troppo grosse e mi scoprireste.
[divagazione mode off]
La Teoria della Periodizzazione è un modello generale, poi ogni attività sportiva avrà le sue specificità. Diciamo che i blocchetti rappresentano le variabili dello sport in questione. Però, qualsiasi siano queste specificità, due grandezze sono universali: l’intensità e il volume.
Per intensità possiamo intendere bovinamente “quanto impegno ci metto nel fare questa cosa”, dove con la parola “impegno” intendo quello oggettivo e specifico: quanto veloce sto andando, quanti Kg sto sollevando, quanto lontano sto lanciando, quanto tempo ci sto mettendo. Che voi andiate in bicicletta o giochiate a bocce esiste sempre un concetto di “intensità” misurabile.
Per volume intendiamo, sempre bovinamente, “per quante volte faccio questa cosa”. Anche questo è un concetto universale per quanto specifico dell’attività in questione: per quanto tempo sono andato così veloce, per quante volte ho sollevato questi Kg, e così via.
Perciò “quanto impegno” e “per quanto tempo mi impegno” sono due caratteristiche così generali da ritrovarsi in qualsiasi attività fisica che noi svolgiamo, e nella teoria gli abbiamo appioppato due nomi ben precisi
Nei grafici della Teoria della Periodizzazione solitamente sono riportati volume ed intensità, in varie rappresentazioni: nel disegno che ho fatto il posizionamento delle barrette rappresenta l’intensità, l’altezza delle barrette il volume.
Quello che è comune a tutti gli sport è che per arrivare al risultato ipotizzato è necessario procedere per gradi dove queste grandezze si incrementano piano piano. Notate come ci sia un incremento fra la fase di ricondizionamento e l’inizio della preparazione, e come durante la preparazione si cerchi di far crescere il tutto con un andamento altalenante in una sequenza incremento-recupero-nuovo incremento.

Quando si arriva alle competizioni si cerca di mantenere i livelli raggiunti, con un volume di lavoro più basso della fase precedente.

Un ipotetico mese di allenamento,  4 microcicli, è illustrato in figura: il volume cresce nelle prime 3 settimane per crollare nell’ultima. Contemporaneamente si fa salire anche il carico, per poi abbassarlo in modo da far salire la velocità di esecuzione del gesto. E’ una ipotesi, tanto per dire che il tutto viene sempre più scomposto. Un microciclo è a sua volta suddiviso nelle varie sedute, e in teoria si potrebbe stabilire una suddivisione fine anche del singolo giorno, come facevano i bulgari.
In pratica, a partire dalla competizione, si stabilisce un andamento dei volumi dell’allenamento e delle intensità per tutti i mesocicli e poi all’interno di ognuno per tutti i microcicli. Così facendo vengono aggiunti dettagli ad una struttura che mantiene intatta la sua finalità: cogliere il risultato in gara.
Quanto dura ogni blocco?
3 settimane, 2 ore, 4 eoni. Anche questo è un errore espositivo, a mio avviso. C’è un altro aspetto sottile che risulta per noi schizofrenici sfidanti di noi stessi fondamentale: ogni blocco ha una durata. Non solo devo avere un obbiettivo, ma devo conseguirlo in un intervallo di tempo definito e per forza di cose limitato.
Dovete darvi delle scadenze. Ragionevoli, ma delle scadenze. Per quanto questo non sia un lavoro e il capo non vi stressi, una scadenza è fondamentale. Non darsi un obbiettivo significa non compicciare nulla, ma darsi un obbiettivo senza una scadenza, una deadline (mi piace “deadline”) significa non realizzarlo.
Ok, ma quanto dura questo periodo? Ma quanto volete che duri… 4 settimane, 8 al massimo, dài… Per le persone normali è estremamente difficile mantenere una attività in forma continuativa per un lungo periodo, perchè nel mezzo solitamente accade qualche impedimento che interrompe la continuità. Perciò un mese, un mese e mezzo è l’ideale.
Sintesi
Non perdete però di vista che il piano annuale è una rappresentazione pratica del ciclo allenamento-competizione-rigenerazione. Ripeto: è UNA rappresentazione, è il “come fare”. A noi questa roba non ci interessa, perchè siamo atleti della domenica con una visibilità limitata del futuro: io mi alleno, ad esempio, come se ogni seduta fosse l’ultima della mia vita.
Però, il modello è valido, anche per noi, per ottenere risultati:
  1. E’ necessario darsi degli obbiettivi pratici, difficili ma fattibili.
  2. E’ necessario definire un tempo in cui conseguire questi obbiettivi
  3. E’ necessaria una alternanza dei volumi e dell’intensità di lavoro per conseguire gli obbiettivi stabiliti nel tempo che abbiamo stabilito
Questo dice la Teoria della Periodizzazione, che è ritenuta essere la più valida per conseguire risultati. Perciò, che piaccia o meno, questo è il metodo che anche noi dobbiamo seguire. O, viceversa, non seguirlo può portare a non ottenere quello che vogliamo
Il backstage della “Triste storia”
A questo punto abbiamo gli elementi per spiegare perchè voi dopo Natale fate il Gran Botto.
Le ferie sono bene o male un momento di rilassamento, di interruzione dal tran tran quotidiano. La palestra chiude, oppure ha orari limitati, fa caldo, ci sono le ferie, ognuno di noi, anche i più maniaci, capisce che è bene mollare un po’ e “chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato”.
Al ritorno in palestra abbiamo effettuato un bel periodo di transizione, uno scarico mentale oltre che fisico. C’è infatti nuovamente la voglia di mettersi in gioco, e questo è tipico in quanto il “distacco” dalla palestra è voluto e non causato da motivi accidentali come infortuni o impedimenti familiari. In questo secondo caso c’è anche la voglia di accelerare il ritorno a quello che noi pensiamo essere il nostro stato di forma medio o ottimale. In questi casi c’è una specie di fretta, come se ne andasse della nostra partecipazione ai Trials Olimpici degli USA. Notate che scrivo sempre “noi”… perchè? 😉
Ma al ritorno dalle ferie o dalle vacanze estive tutti questi aspetti negativi non ci sono e siamo sereni: per questo siamo nella condizione ottimale per iniziare meglio. Un ottimo periodo di transizione.
Chiaramente il rientro in palestra è graduale, perchè ci sono i DOMS, perchè c’è quella fase soft di ripresa che alla fine tutti fanno. Involontariamente stiamo vivendo un periodo di ricondizionamento, dove il volume e l’intensità crescono piano piano. Più il volume che l’intensità, perchè di volta in volta introduciamo esercizi nuovi, più serie, più ripetizioni, più qualcosa. Via via che la nostra condizione di forma migliora aumentiamo il volume più che l’intensità.
Ok, ci sarà il pazzo che tira a manetta due secondi dopo che è uscito dallo spogliatoio, ma solitamente ognuno di noi ha come una percezione che il rientro debba essere graduale, che ci possiamo concedere un periodo di ripresa senza sentirci mortificati nel nostro essere guerrieri del ferro senza macchia e senza paura.
Il recupero precedente e questa progressione implicita e non formalizzata portano perciò ad ottenere risultati perchè l’adattamento può avvenire in maniera graduale e il nostro corpo reagisce bene. E’ proprio in questo periodo che possiamo ottenere miglioramenti, perchè la nostra relativa freschezza permette l’esplicitarsi delle abilità motorie che abbiamo acquisito anche molti mesi fa.
Ed è qui che iniziano le elucubrazioni folli, perchè si estrapolano linearmente questi miglioramenti nei mesi successivi, come se ciò fosse possibile: se in 15 giorni ho ottenuto 10, in 45 giorni otterrà 30. Forse può succedere nei successivi 45 giorni, ma di sicuro non nei 45 giorni a partire da Gennaio.
Quello che accade è che si continua a far crescere il volume e l’intensità, come se fossero indipendenti fra loro. Oppure, raggiunto un volume ritenuto ottimale, si insiste a picchiare duro con l’intensità. Questo porta allo stallo dei carichi, e allora si abbassano i pesi, si passa ad una fase di “massa” o di “pompaggio” dove il volume resta identico oppure, addirittura, si incrementa. La non comprensione dell’alternanza e della ciclicità dei carichi di lavoro porta a tenere sempre il piede su uno, molti o tutti gli acceleratori di cui disponiamo.
Chiaramente tutto questo è lento e l’onda di trascinamento del periodo iniziale permette di reggere per un altro mese, mese e mezzo. Ed ecco che arriviamo a metà, fine novembre. E’ qui che si capisce che qualcosa non va, senza identificare le cause.
Che fare? Scaricare? Ma ho pagato il mensile o l’annuale… cambiare programma? Però rompe le palle, andava così bene… Si legge su qualche rivista di metodi nuovi, per uscire dallo stallo, si provano et voilà, eccoci a Natale.
Il problema è che i metodi delle riviste sono come delle ricette. Potete prendere la ricetta di un dolce e quella di un bel secondo piatto. Però questo non basta per creare un’intero pranzo di nozze. Se non altro, perchè esiste una struttura che è più della somma dei singoli piatti. Nessuno vi presenterebbe il caffè prima delle tagliatelle, o una bistecca dopo il dolce al mascarpone. Solitamente una ricetta si riferisce a se stessa, non all’interazione con altre 1000 diverse.
Perdendo di base la sovrastruttura dell’allenamento, la subìte e basta. Perchè se esiste un sistema ottimale di ottenere i risultati, per non ottenerli basta non seguirlo…
Sono presuntuoso, ma vi posso assicurare che questo è ciò che vi succede quando non capite quello che vi succede!
La mancanza di un vero obbiettivo e la mancanza di una ciclizzazione per raggiungerlo vi trascina a picco come delle belle scarpe di cemento.
E adesso?
Eh sì, adesso in tutti i film che si rispettino l’eroe si rialza dalla polvere, sguardo da pazzo, lo shining negli occhi e, urlando, assesta all’avversario 3 volte più grosso di lui l’unico calcio rotante del secondo tempo, rallentato e ripreso da 5 angolazioni diverse. Il cattivone va a terra e il buono (bianco e occhi azzurri solitamente) esegue una variante della serie “Adriana”, ringraziando la moglie, Crom o chi per loro. E’ giustificato il pianto dell’eroe in questo momento del film, ma solo entro gli ultimi 3 minuti prima dei titoli di coda.
Lo so che ve lo aspettate, ma… ragazzi, che volete che vi dica? Ecco il nuovo schema per allenarsi in modo che questo sia il Settembre che ricorderete per sempre?
Ci sono milioni di articoli su internet, io stesso ne ho scritti a tonnellate e sempre ne scriverò perchè mi diverto troppo. Ma sta a voi mettere insieme i pezzi. Prendete una blocco di schemi, cercate di inventare una progressione decente, fate in modo da dedicare in ogni seduta 20-25′ a questa roba, poi ficcateci dentro tutto il resto che vi piace. Stabilite che per 4 settimane seguite questa roba. E, perDio, iniziate ad allenarvi. Poi vedete cosa è successo, modificate, insistete.
Spiace, ma alla fine le regole del gioco sono sempre le stesse. Non fanno vendere le riviste, perchè sono noiose. Ma queste sono.
Vi lascio con una frase di Franklin D. Roosvelt, non perchè sia un fissato di aforismi ma perchè navigando su internet mi ha colpito.
È buonsenso prendere un metodo e provarlo. Se fallisce, ammettilo con franchezza e provane un altro. Ma soprattutto, prova qualcosa.
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Il video del giorno… della settimana, del mese, dell’anno

Adoro queste cose, è più forte di me: il contrasto stridente fra la "giacca&cravatta" (ok, non c’è la cravatta) che rappresenta l’essere precisini e a modino e la forza bruta e rozza di un sollevamento impressionante. Da brivido, come le unghie sulla lavagna.

Silvio è geniale. E solo lui poteva permettersi una cosa del genere: anche io posso mettermi la giacca e fare la panca, ma di sicuro i suoi 5 dischi da 20Kg per lato e 220Kg di totale rendono il contrasto ben più evidente dei miei miseri 2 e spiccioli…

Io dico che questo diventerà un classico… Silvio, ti prego, uno stacco fatto così!!!

 

 

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VIII Coppa Italia a Squadre – Terni – 18-19 Ottobre 2008

Il 18 e 19 Ottobre a Terni si svolgerà la Coppa Italia a Squadre di Powerlifting. Invito tutti gli appassionati del ferro ad andare a vedere, dato che la location (per essere english) è strategica e potrebbe essere l’occasione per una gita "fuori porta" diversa dal solito.

Credo che tutti gli amanti del sollevamento pesante dovrebbero, una volta almeno, avere l’occasione di osservare da vicino cosa sia veramente il Powerlifting. Molte volte queste frasi possono sembrare spocchiose, saccenti, presuntuose. Che palle con questo "vero Powerlifting"!

Il problema è che manca una "cultura pesistica" e vengono osservati solamente i Kg sul bilanciere, piuttosto che il modo con cui questi vengono sollevati. Alla fine i Kg sono in qualche modo spostati, e questo basta. Ma non è così. Spostare pesi è un conto, sollevarli dimostrando controllo è un’altro. Il regolamento IPF/FIPL imbriglia le alzate in una serie di norme che le rendono assolutamente difficili. I Kg sollevati secondo questo regolamento sono… differenti. Chi ci riesce, quei Kg li vale, e di brutto.

Ribadisco: quello che ho scritto sembra spocchioso?

Surfando sulla rete mi sono imbattuto in questi video, che mi hanno lasciato molto perplesso. Non me ne voglia l’autore e protagonista, non è mio costume sparlare alle spalle, nè ho intenzione di farlo gratuitamente.

Ecco uno squat con 250Kg o 260Kg

Guardate la scarsissima profondità, ben sopra il parallelo. Questo fa apprendere un pattern motorio errato dove le ginocchia scivolano in avanti nel punto più difficile: non è che questi 260Kg valgono 200Kg al parallelo o sotto, il ragazzo non riuscirebbe a squattarli perchè il suo cervello non gli farebbe attivare i glutei e i femorali. Dovrebbe ripartire da circa la metà per imparare!

Ma, a parte questo, è follia permettere ad un essere umano di fare squat assolutamente senza rete! E se il nostro amico non ce l’avesse fatta? Cosa gli eviterebbe di disintegrarsi al suolo?

Non si sente nessun comando, nè per iniziare la discesa, nè per riappoggiare: in pratica il nostro amico stacca, va indietro, parte quando vuole e riappoggia quando vuole. Tutto molto approssimato, senza controllo, senza nulla.

Quello che mi lascia stupefatto è che non stiamo vedendo il video del classico sborone da Internet che deve compensare con i Kg le carenze affettive materne, ma è una vera e propria gara dove vengono battuti degli "state record". C’è un pubblico, si intravedono delle coppe, perciò esiste una struttura organizzativa. E’ questo che mi sconcerta: la voglia di caricare il bilanciere, di dare gas a scapito del controllo del mezzo.

Questa è la panca, circa 175Kg.

Il ragazzo è estremamente forte! Una vera bestia, una ottima panca da palestra. Ma questa è una gara! Eppure non ci sono comandi arbitrali, non c’è fermo al petto ma il tizio rimbalza! E poi ci sono dischi sparpagliati in maniera sciatta da tutte le parti…

Il problema della mancanza del fermo al petto non è una finezza da iniziati: se io elimino un fermo con comando di ripartenza apro le porte a tutti i tipi di rimbalzi. Come quantificare questo rimbalzo? Il tizio del video rimbalza parecchio o no? Se c’è un giudice che dice all’atleta quando ripartire si eliminano alla base 3000 discussioni e si fa chiarezza.

Anche in questo caso, se l’alzata fallisce in qualche punto, chi impedisce che il bilanciere sezioni in due il tipo? Non è pura incoscienza una cosa del genere? Sono 175Kg!

Infine, lo stacco raw con 220 circa

Lo stacco è una alzata quasi universale, dato che è estremamente semplice da interpretare: il bilanciere è in terra, si deve afferrare e ci si deve mettere in piedi senza infilare sotto le ginocchia. Il nostro amico stacca in maniera buona.

Notate la discrepanza fra squat e stacco: 260 di squat, 220 di stacco. Quando lo squat è superiore allo stacco, qui come sui diari dei vari forum, nel 99% dei casi lo squat è ben sopra il parallelo. Perciò vengono i pesoni.

A costo di far spallare il lettore, non critico il ragazzo, l’organizzazione, o quant’altro. Il ragazzo è fortissimo e uno che squatta 260Kg in quel modo ha comunque molto potenziale e scendere sotto il parallelo sarebbe solo questione di allenamento. Il problema è che qui non ci sono regole.

Oggettivamente, chi decide quanto è profondo il "profondo" nello squat? Come posso confrontare questa prestazione con altre? Quanto vale il mio squat? E non c’è sicurezza: se va tutto bene il pubblico applaude, ma se va male?

Per questo invito tutti alla manifestazione: per creare proprio quella "cultura" che a mio avviso manca. Per dare un’idea di quello che intendo, ecco un video di Simone Sanasi, categoria 82.5Kg, un ragazzo da 292.5Kg di stacco, fortissimo.

Notate la precisione dei movimenti, senza sbavature. Notate la profondità dello squat. Notate i comandi dei giudici che impongono di partire non quando vuole l’atleta. Il regolamento impone un rigore che si manifesta nella necessità di avere alzate "pulite", altrimenti… non si fanno.

Ci possono essere esecuzioni diverse, ma in FIPL/IPF non troverete nessuno che ondeggia con il bilanciere prima di scendere, semplicemente perchè il giudice non dà il comando a meno che non siate immobili. E questo impone un controllo di quello che si fa molto più impegnativo. Per questo i Kg non sono tutti uguali!

Notate che intorno a Simone nello squat ci sono cinque persone (due ai lati e una dietro) che intervengono in caso di qualsiasi problema, e lo stesso nella panca.L’atleta è tutelato, e questa tutela non è discrezionale di questa gara, perchè l’organizzatore è stato coscienzioso: è prevista dal regolamento. Senza spotter laterali non viene svolta proprio la gara.

Vedere tutte queste cose dal vivo è a mio avviso molto… educativo, e fa cambiare la prospettiva con cui si guardano le alzate. Per questo invito tutti ad esserci. Io ci sarò, probabilmente anche a gareggiare, ma più che altro a passare due giorni con amici carissimi che non vedo da molto tempo.

Ah… attenti: alcuni che hanno visto queste gare l’anno dopo erano in pedana. I prossimi potreste essere voi!

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Anatomia di una ripetizione – Parte 5b – Liscia, gassata o…

Finalmente ci siamo. A questo punto abbiamo a disposizione tutti gli strumenti per capire che cosa succede quando facciamo un po’ di ripetizioni di panca… fiuuuuu… ci sono voluti tutti questi caratteri ASCII ma… ce l’abbiamo fatta.
Parleremo di velocità di esecuzione, di TUT, di movimenti parziali, di “è meglio veloce o lento?”, di argomenti fondamentali per la nostra vita di coppia quali “è possibile stimolare le fibre veloci e lente in una ripetizione?” e risolveremo degli enigmi matematici tipo “una serie da 4 ripetizioni della durata di 4 secondi l’una è meglio di una da 8 ripetizioni della durata di 2 secondi?”. Domande che ci creano ansia e che non ci fanno dormire la notte: qui troverete risposta, in modo da poter calare la dose dei sonniferi.
Ah… dopo tutti i roboanti grafici stratecnici un risultato assolutamente deprimente sarà che il miglior risultato si ottiene con una esecuzione… lenta e controllata eh eh eh. Mi accorgo che poi alla fine la miglior strategia di allenamento è quella che può essere chiamata “la diffidenza del contadino”: l’onda del progresso parte sempre dalle città, dalle aggregazioni di persone dove le informazioni si trasmettono velocemente, e più ci allontaniamo da questo centro nevralgico e meno le “novità” fanno presa. Il contadino assume sempre per principio l’atteggiamento “sarà ma non ci credo” o, meglio “è una vita che sono su questi campi, non mi faccio di sicuro prendere per il culo da te”.
Quando perciò leggete di allenamenti dove si lanciano i pesi, o di esecuzioni lentissime o cose che a voi appaiono come senza senso ma che sono supportate da teorie scientifiche… siate un po’ contadini: forse vi perderete delle novità importanti, ma forse non vi farete prendere per il culo.
Una noiosa premessa
Prima di andare avanti, vorrei dire ai miei lettori (mio zio, mia figlia, l’amica di mia figlia qualche volta…) questo: i problemi complessi possono essere compresi solo suddividendoli in sottoproblemi più semplici. Parcellizzare in componenti elementari aiuta a confinare gli ambiti di difficoltà, ma non dobbiamo scordarci che i singoli pezzi vanno poi rimessi insieme.
In questi articoli si corre sempre il rischio di focalizzarsi su un singolo aspetto, mentre quello che poi è importante è la visione d’insieme. Quando vi allenate agite su tutto il vostro corpo, e su tutti gli aspetti che ho descritto, contemporaneamente. Per questo molti ottengono meno del previsto: si focalizzano sul cortisolo, o sul carico, o sulle proteine, o sui DOMS, o sulla velocità. Aspetti fondamentali ed importanti. Ma singoli fattori di un gioco coordinato, dove le “regole” che li legano insieme sono molte volte più importanti delle singole variabili.
Perciò, se avete capito i singoli pezzi, rileggete tutto e cercate di farvi un’idea di come possono funzionare contemporaneamente.
Riassuntino delle puntate precedenti

Ecco cosa abbiamo detto nei precedenti articoli.

  • La forza eccentrica è sempre maggiore della forza isometrica che è sempre maggiore della forza concentrica
  • E’ la tensione meccanica che deve essere prodotta dai nostri muscoli che determina il quantitativo di fibre che vengono reclutate.
  • Le fibre muscolari si attivano “in salita” all’aumentare del carico: dalle fibre rosse a quelle bianche.
  • Non è la durata della tensione che determina il quantitativo o la tipologia di fibre attivate
  • E’ necessario un certo quantitativo di lavoro per ottenere un esaurimento delle fibre stimolate
In particolare, ecco i meccanismi allenabili che determinano un incremento di forza muscolare
Reclutamento spaziale
Per reclutamento spaziale si intende la capacità di contrarre le fibre di un muscolo. Più aumenta la capacità di reclutare le fibre, più aumenta il numero di fibre contratte in un dato istante di tempo.
Questa caratteristica è allenabile nel senso che aumentando la richiesta di tensione muscolare l’organismo si “abitua” a far contrarre sempre più fibre. E’ pertanto il carico sul bilanciere che permette il miglioramento di questa qualità.
Sincronizzazione
Potremmo chiamarla reclutamento temporale, cioè la capacità di contrarre le fibre all’unisono, contemporaneamente. Questa caratteristica permette di generare forza rapidamente: più le fibre sono sincronizzate più forza posso sviluppare in un dato intervallo di tempo dall’inizio della contrazione muscolare.
La sincronizzazione è correlata alla potenzaprodotta o, meglio, all’RFD, rate of force development (tasso di produzione della forza). Più le fibre sono sincronizzate e più posso mettere in moto rapidamente un oggetto. La sincronizzazione è una caratteristica più “avanzata” del reclutamento spaziale in quanto presuppone di saper contrarre molte fibre E di farlo in maniera coordinata.
Questa caratteristica è allenabile con metodologie apposite tipo esercizi balistici, o pliometrie varie. A noi serve questa roba? Serve. Vedremo perchè. In palestra non è necessario allenare questo tipo di abilità con sedute apposite, ma un certo grado di sincronizzazione è comunque richiesto.
Coordinamento intermuscolare
Gli aspetti che ho descritto riguardano quello che si chiama coordinazione intramuscolare, cioè tutto quello che serve per poter utilizzare al meglio le risorse di un singolo muscolo. Ma in palestra noi compiamo movimenti complessi, che coinvolgono tantissimi muscoli. La capacità di coordinarli correttamente per ottenere un movimento efficace ed efficiente è detta coordinazione intermuscolare.
Gli esercizi in palestra sono relativamente semplici rispetto a quelli di altri sport, e sono svolti a velocità basse. Ciò non toglie che il principiante all’inizio migliori notevolmente solo perchè impara a coordinare meglio i muscoli, ad indirizzarli meglio nel compito che devono svolgere.
Se questo fenomeno è lampante all’inizio della “carriera”, la coordinazione intermuscolare è qualcosa che si affina continuamente al crescere della forza complessiva, perchè più si è forti e più i pesi sul bilanciere saranno tali che le sbavature e le imperfezioni saranno sempre meno possibili.
Tutto insieme
Non è ipotizzabile di portare il proprio livello di forza vicino al potenziale genetico (per usare una parola stra-inflazionata) senza un affinamento della tecnica a livelli sopraffini. Se fosse possibile ottenere risultati incredibili con una tecnica “del cazzo”, si sarebbe per definizione sotto il proprio potenziale. Perchè “del cazzo” è la forma zippata di “imperfetta, senza i giusti pattern motori, piena di errori, migliorabile” e chi compie errori è lontano dall’aver sviluppato il proprio potenziale.
L’affinamento tecnico passa per reclutamento, sincronizzazione e per la coordinazione intermuscolare.
Il corretto allenamento, finalizzato allo sviluppo della forza, permette uno sviluppo armonico di tutte queste componenti, che non sono altro che la risposta dell’organismo all’ambiente esterno: il corpo reagisce cercando di sopperire ai “pericoli” ottimizzando quello che ha, perciò vi farà utilizzare più massa muscolare, più velocemente possibile, e in maniera tale che i muscoli funzionino bene fra loro.
Se gli stimoli allenanti sono corretti il corpo migliorerà sempre più il controllo dei fusi neuromuscolari e della loro azione sugli agonisti e sugli antagonisti, inibirà gli organi del Golgi e le cellule di Renshaw, elementi del precedente articolo. Non c’è nulla di incredibile: “semplice” adattamento ad una richiesta ambientale. Se non richiedete nulla, il vostro corpo non vi darà nulla.
Per “corretto allenamento” non intendo qualcosa che esalti all’inverosimile questi aspetti, con salti in basso da 20 metri, lanci spasmodici di candelotti di dinamite o contorsionismi coordinativi assurdi come scaccolarsi il naso con i piedi mentre ci si strizza un brufolo dietro l’orecchio sinistro. E’ sufficiente un normale allenamento in palestra dove si cerca, con un minimo di razionalità, di caricare sempre più pesi sul bilanciere, ragionando su quello che si fa.
Ma… a che serve “fare forza”?
Come si suol dire, nel Bodybuilding il peso è un mezzo e non un fine: la ricerca spasmodica della forza massimale negli esercizi non è la chiave del successo. Concordo, parzialmente, con questa impostazione, ma non voglio imbarcarmi in una discussione socio-psicologica.
Ma se il peso è un mezzo, per Diana, usiamolo al meglio!

In questo particolare contesto, dedicarsi allo sviluppo della forza ha particolare rilevanza per il culturista, proprio perchè la forza è il mezzo principe per ottenere i risultati fisici aspettati e desiderati.

Lo schema qua sopra riporta in estrema sintesi quello che accade: a senso, quale stimolo ipertrofico è migliore, quello prima o quello dopo la cura?
Senza ridire per l’ennesima volta quello che oramai sa anche il mio cane, l’allenamento con i pesi “per la massa” è sempre effettuato in un range di 6-8 ripetizioni (e carico adeguato) perchè questo è il miglior compromesso fra intensità e durata dello stimolo. Se perciò lo stimolo allenante è dato dal peso utilizzato per le ripetizioni che posso effettuare, questo aumenterà se incrementa il peso che posso utilizzare sulle stesse ripetizioni!
Certo, ci sono da fare almeno 50 “si ma” e 20 “però”, ma il nocciolo è che la forza va allenata in maniera specifica proprio per essere utilizzata come mezzo per l’ipertrofia.
Velocità
Questo disegnino è un classico della Teoria dell’Allenamento: rappresenta la curva tensione-velocità di cui abbiamo parlato quando è stato descritto il meccanismo della contrazione muscolare. Ho eliminato la parte a sinistra, quella relativa alla velocità negativa, cioè a un muscolo che si allunga sotto tensione invece di contrarsi.
Nei libri si vedono sempre quei pallini che indicano i vari sport, ad indicare che ogni attività ha una diversa ripartizione di velocità e forza. Non focalizzatevi sul valore quantitativo della posizione dei pallini, ma solo sul concetto che vogliono esprimere: ogni attività ha la sua velocità di esecuzione e la sua quantità di forza richiesta.
Un lanciatore di giavellotto dal peso di 800 grammi svilupperà movimenti veloci a bassa tensione muscolare. Per la “leggerezza” dell’oggetto che viene lanciato sarà impossibile per il giavellottista convertire completamente la sua forza massimale nella panca nel movimento di gara. Non perchè non sia capace, ma perchè è troppo esigua la resistenza del giavellotto stesso.
Questo significa che non ha per lui senso sviluppare una mostruosa forza in movimenti a velocità del tutto differente dalla condizione di gara, pena il concentrare energie in cose assolutamente inutili. C’è, cioè, un limite oltre il quale incrementi di Kg in sala pesi non portano incrementi nell’attività sportiva.
La simpatica curva riportata qua sopra ci permette di capire perchè un tizio forte nella panca non lancia il peso così lontano come quello che ha 40Kg meno di lui di massimale ma che si allena in maniera specifica: perchè il tizio è, appunto, forte nella panca, un movimento lento rispetto a tirare una palla di ferro con violenza. E, analogamente, non ha molto senso allenarsi lanciando un peso di 25Kg quando in gara si usa una pallina da poco più di 7Kg.
La forza si sviluppa in maniera specifica alla velocità a cui voi richiedete che si sviluppi: uno che fa i pesi in maniera decente è più forte di Bolt nello squat, dato che ad uno sprinter non serve a niente fare squat culo a terra con 200Kg, e se li facesse probabilmente starebbe sbagliando preparazione.
Questo concetto non è poi sempre chiaro in pista o in sala pesi. Non voglio sembrare il solito saccente sborone, ma non è chiaro a molti allenatori, che prendono ragazzini che dovrebbero fare velocità, salti o quant’altro e li rimpinzano di pesi, sovraccaricandoli in una parte della curva tensione-velocità che poi non andranno mai a sfruttare o, viceversa, gli fanno usare carichi così ridicoli da costituire solo una preparazione generale di base, inadatta già ad un atleta di livello regionale.
Viceversa, guardate dove si piazza quello che più ci piace: nella zona a bassa velocità. Per questo non ha molto senso utilizzare tecniche pliometriche o “esplosive” sperando che i pesi migliorino: non sono gli squat jump, i lanci delle palle mediche o le kettelbell che faranno salire i vostri massimali.
Ok, lo conosco anche io il famoso articolo “deadlift without deadlifting” dove si parla di un allenamento per lo stacco tramite i sollevamenti olimpici. Però… leggiamolo bene, dài…

Beninteso: tutto contribuisce al miglioramento, ma se voi incrementate il vostro stacco da terra perchè avete usato le kettelbell sicuramente siete dei principianti o degli atleti estremamente avanzati:

  • Un principiante migliora con quasi tutto e i movimenti esplosivi insegnano il reclutamento, la sincronizzazione e la coordinazione intramuscolare. Ma in questo caso è stata utilizzata l’”esplosività” come tecnica di insegnamento di abilità motorie, non come mezzo per ottenere gli adattamenti specifici per lo “sport” in questione, che è a bassa velocità. Riuscire a coordinarsi meglio e in breve tempo è una abilità che può essere sfruttata immediatamente in qualsiasi altro gesto che si svolge a velocità più bassa.
  • Un avanzato, che ha già sviluppato i requisiti tecnici per ottenere risultati, beneficierà dell’affinamento delle sue abilità coordinatorie, dell’impatto positivo sulla preparazione generale, del miglior potenziamento degli stabilizzatori del movimento. Queste tecniche “speciali” possono costituire quel quid in più per uscire da una situazione di stallo.
Queste due situazioni sono gli estremi: un intermedio, invece, dovrà sviluppare le abilità specifiche del “gesto” che andrà a perfezionare. Un esempio semplice: nella carriera di uno stacchista c’è un momento in cui i Kg salgono a poco più del doppio del peso corporeo; a questo punto il miglioramento si ottiene… facendo stacco in maniera corretta, “sentendo” i pesi e le velocità specifiche di quei pesi piuttosto che in altro modo.
La specificità dello stacco è saper tirare via un peso che è incollato al pavimento, sopportare quei microsecondi che precedono il distacco dei dischi da terra, quando si preme e si tira con tutte le proprie forze e si ha un lampo di consapevolezza che niente riuscirà a dissaldare le rotelle dal pavimento. Si impara a vincere questa sensazione, con l’allenamento. Un intermedio deve allenare questa “abilità”, e non saranno i saltelli o i pesetti a farlo maturare.
Questa situazione è tipica di tutti gli esercizi massimali: la capacità di dominare i carichi elevati.
Si parla anche di “transfer” di forza da un mezzo allenante all’altro. Questo è possibile se le velocità sono paragonabili, altrimenti no. Non mescolate tecniche adatte ad un contesto con quelle di un’altro, perchè non otterrete nulla.
La fame di novità è sempre cattiva consigliera, complice il “publish or perish” delle riviste e il fatto che gli allenatori quotati e gli studi del settore sono sempre nell’ambito di sport che poco hanno a che fare con il sollevamento pesi.
Non c’è nulla di male in questo, però mi sembra che quando si parla di certe cose è come se nascesse una scala di merito, in cui gli sport dove si è più “veloci” fossero anche quelli dove si deve essere più dotati, abili, intelligenti e belli. E’ come se “essere dinamico” fosse un pregio.
Non è così, è solo specificità. Prendete un 100 metrista, un pesista, un sollevatore di pesi olimpico e un powerlifter. A parità di peso corporeo, di ranking nelle proprie specialità (nel senso che se il livello è “regionale” lo è per tutti), di anzianità di allenamento, costanza e tutto il resto: il powerlifter farà di più di stacco da terra, il sollevatore olimpico di slancio, il pesista di lancio del peso, il centometrista nei 100 metri. Specificità, punto e chiuso.
Se così non fosse, potrei allenarmi per il lancio del peso e andare a fare i 100 metri: esisterà di sicuro uno che è forte in entrambe le specialità (sicuramente il cugino dell’amico dello zio di uno che scrive su un forum), ma lo è all’interno del quartiere, del rione, della città e appena si sposta in un contesto più ampio la specificità lo sbatterà fuori dalle finali al primo campionato dove competerà con gli specialisti delle due specialità.
Molte volte, invece, sento discorsi della serie “quello è meglio di quell’altro”, come nelle barzellette con l’italiano, il francese e il tedesco dove in Italia l’italiano è il più ganzo e ce l’ha più lungo, in Germania è un mafioso spaghetti und mandolino mentre in Francia è solo il cugino un po’ idiota d’oltralpe.
Siamo lenti o no
Ma quale è la specificità del nostro “sport”? Il bodybuilding ha molto in comune con il powerlifting se non altro per l’utilizzo non solo degli stessi mezzi allenanti (i pesi) ma anche degli stessi esercizi. I nostri amati pesi sono mossi a bassa velocità, forza bruta quasi statica. E’ però interessante capire quello che succede quando eseguiamo un gesto, perchè se la velocità media è bassa, in certi punti della traiettoria le variazioni sono determinanti, tanto che quelli forti sono anche coloro che in questi punti riescono a essere “esplosivi”.
Avete mai visto quelle gare americane assurde dove dei trattori incredibili (molti sono delle turbine aeronautiche con le ruote!) devono trascinare un enorme blocco di cemento armato nel minor tempo possibile? Mi fanno letteralmente impazzire, migliaia di cavalli vapore selvaggi ed imbizzarriti. La difficoltà è mettere in movimento quella mostruosa massa inerziale, dove è necessario vincere gli attriti iniziali con un immenso ruggito turbocompresso, per poi mantenere la velocità conquistata. Per quanto il movimento sia “lento” nessuno mette in dubbio l’immane quantitativo di energia necessaria a eseguirlo!
In altre parole, il bodybuilder “forte per quanto è grosso” deve avere la capacità di dare gas al massimo quando serve, e di tenere l’indicatore dei giri sul rosso pieno per tutto il tempo necessario a spostare, sebbene lentamente, un peso troppo pesante per essere mosso ad una maggiore velocità. Questo significa “essere dinamici” nel bodybuilding.
Non fatevi fregare quando vi dicono che il bodybuilding è un’attività lenta: se volete essere forti, dovrete sviluppare una particolare forma di “velocità”
Parziali o complete?
Vorrei liquidare velocemente questo aspetto che non digerisco mai: le ripetizioni devono essere complete o parziali? La risposta è semplice, diretta e inappellabile: complete.
Prima la spiegazione non biomeccanica ma a buon senso: perchè dovreste eseguire un esercizio su un intervallo di movimento ridotto rispetto a quello che potreste fare?
Non voglio nemmeno sapere le vostre risposte, perchè le ho sentite tutte già 10 anni fa e già allora mi facevano tutte incazzare. Qualsiasi sia la vostra argomentazione, siete nella stessa situazione di chi vuole proteggersi dalle bombe al fosforo sganciate da uno squadrone di B-52 aprendo l’ombrellone da spiaggia: senza speranza.
Tanto per dire, su certi esercizi imparate la tecnica su tutto l’arco di movimento, così eviterete il solito saccente che fa un quarto dei vostri pesi e vi chiede “ma perchè non arrivi fino in fondo?” e voi dovrete spiegare, cioè giustificarvi. Imparate il movimento completo e fatevi lo stripping a movimenti parziali per l’isolamento X-reps double loading quando dominerete la tecnica corretta. Punto.

Io credo che il bodybuilding debba rappresentare “forza estetica”, ma comunque “forza”. E la forza viene espressa in certi “gesti” propri di questa attività. In questi gesti la componente estetica è il “controllo”, e il controllo passa per una corretta tecnica esecutiva su tutto l’arco di movimento possibile. Ok, lo dico sempre, lo so. Però credo fermamente a questo concetto.

Torniamo alla nostra amata panca, alla forza che il pettorale sviluppa nel movimento. In questo caso, il 100% della tensione che il pettorale deve sviluppare si ha nel punto più basso.
Ogni muscolo ha un punto in cui deve sviluppare la massima forza, dovuto all’escursione del movimento e alle leve articolari, ma negli esercizi classici da palestra in cui il bilanciere si muove in maniera praticamente rettilinea, i punti di minima e di massima difficoltà siano posizionati agli estremi della traiettoria.
Carico esterno e carico interno
Nel bodybuilding si usa fare una distinzione, a parità di peso sul bilanciere, fra carico esterno e carico interno. Il primo è di semplice rappresentazione: è il peso sul bilanciere, oggettivo, reale. Il secondo, invece, è come questo carico viene percepito all’interno del nostro corpo. Questa percezione varia a seconda di come eseguo il movimento, lenta o veloce, o di quale sia la mia condizione fisica: lo stesso carico che la settimana scorsa sollevavo con facilità, se oggi sono raffreddato e con i brividi di febbre, mi sembra rivettato al terreno.
Personalmente non amo la definizione di carico interno, pur comprendendone la motivazione: per un ingegnere come me (“ingegnere” = “rigido e ottuso” secondo mia moglie quando non è arrabbiata, altrimenti “rigido, idiota e ottuso”) l’approccio è troppo soggettivo, quasi romantico.
Nella mia definizione il carico interno è la tensione/forza che che i miei muscoli devono creare per controbilanciare il peso sul bilanciere.
Sempre nella panca, un carico di 100Kg a braccia distese “non vale” quanto gli stessi 100Kg da spingere via dal petto. Non conosco, cioè, la forza che i miei muscoli devono generare al petto o braccia distese, ma di sicuro il massimo è al petto e il minimo è a braccia distese o, in altre parole, a parità di carico esterno il carico interno sarà massimo nel punto più difficile del movimento.

Il carico interno dipende perciò dal carico esterno, dalle leve articolari e, come vedremo, dalla velocità di esecuzione. E’ pur sempre oggettivo perchè con un corretto modello biomeccanico si potrebbe calcolare con sufficiente approssimazione. Ma non ci interessa, perchè troveremmo quantificati con dei numeri cose che già sappiamo empiricamente.

Ecco quello che accade caricando due pesi differenti sul bilanciere ma eseguendo anche escursioni differenti. Supponiamo che la traiettoria verde tratteggiata sia quella relativa a una escursione completa con un peso del 20% superiore a quello caricato nel movimento a traiettoria blu.
Però l’esecuzione “verde” non è completa, ma parziale, dove non arrivo nel punto più basso del movimento, quello dove il pettorale ha la maggior sollecitazione e la traiettoria finale è quella verde non tratteggiata: i carichi esterni sono uno maggiore dell’altro, ma quelli interni sono esattamente all’opposto.
Sappiamo che il coinvolgimento delle fibre è dato dalla tensione che i muscoli devono generare in opposizione a quella a cui sono sottoposti, perciò in questo caso il movimento completo porta sicuramente ad un coinvolgimento di maggior muscolo pettorale!
Questa è semplicemente la visione più formale di quello che tutti sappiamo: inutile caricare montagne di rotelle per fare escursioni che sono meno della metà del movimento completo, no?
Ciò significa che i movimenti parziali siano da buttare? Assolutamente no, servono proprio per imparare a gestire un peso oltre il massimale, per non aver paura del carico, per tutta una serie di motivi leciti e plausibili. Personalmente adoro la board press, un classico parziale sulla panca!
Non dobbiamo mai e poi mai farci prendere la mano iniziando a pensare che più peso equivale a più stimolo sulle fibre muscolari. Perchè non è vero.
Bullet time di una ripetizione
Rendiamo più frizzante la trattazione! Cosa ho riportato sull’asse orizzontale dei due disegni precedenti? Niente. Ma… cosa ci sarà? Il tempo? Nemmeno. Ho barato.
I due disegni sono quella che si chiama curva statica della forza, cioè quanta forza è necessaria per mantenere il peso fermo in un dato punto della traiettoria: immaginate di far eseguire la panca ad un nerd-cavia e di piazzarlo fermo con il bilanciere a metà traiettoria mentre voi effettuate le misurazioni della sua forza muscolare con gli elettrodi collegati al 380 trifase. Poi fate variare la posizione di qualche centimetro, altra scarica e altra misurazione. Riportate sull’asse orizzontale i centimetri di discesa e su quello verticale le tensioni muscolari misurate, poi unite i puntini (non sono numerati ma ce la potete fare) e ottenete quella specie di curva.
La situazione non è reale, perchè non c’è di fatto movimento! Facciamola, allora, questa dannata ripetizione, a velocità normale ma osservandola come Neo vede le pallottole in Matrix.

Ecco che spuntano i corni, come quelli… delle lumache. Toccatevi la testa. Tutto a posto? Ok, come quelli delle lumache, come stavo dicendo.

Immaginatevi di fare una ripetizione di panca scendendo in due secondi, facendo una pausa al petto di due secondi e di risalire in altri due secondi (il due è un numero mistico ricorrente).

Guardate la riga rossa, che rappresenta la velocità del bilanciere, da sinistra verso destra:

  • Inizialmente è negativa perchè il bilanciere sta scendendo (ho deciso che le velocità sono positive quando il bilanciere sale), ma è costante: nella pratica i movimenti che eseguiamo in palestra con carichi decenti sono tutti a velocità costante nella parte centrale della traiettoria. Ci sono chiaramente delle oscillazioni di velocità, ma l’ipotesi che ho fatto è plausibile.
  • Nel punto più basso del movimento la velocità varia bruscamente, perchè voi… frenate il peso al petto, perciò la velocità va a zero. Il blocco del bilanciere, per quanto la discesa possa essere relativamente lenta, è sempre deciso, perciò la velocità varia in un tempo molto breve.
  • Al petto la velocità è zero per tutto il tempo della pausa
  • Quando inizia la risalita la velocità diventa positiva dato che il bilanciere va verso l’alto. Anche la risalita è a velocità praticamente costante, a meno del momento in cui il bilanciere si mette in movimento: l’intervallo di tempo in cui la velocità passa da zero al valore costante è molto breve, e perciò la velocità ha il picco del grafico.
Quello che ho descritto è quanto di solito accade, non è che la panca “si fa così”, ma il concetto è che se un peso è “pesante” e lo muovo in maniera controllata, la sua velocità sarà quasi costante, meno che nei punti in cui passa a zero o da zero passa al valore costante.
Nel sollevamento di pesi olimpico questo non accade e si possono distinguere molte fasi in una traiettoria estremamente complessa dove di volta in volta è il bilanciere o l’atleta che si muovono mutuamente, ma in palestra su movimenti rettilinei con carichi “elevati” questo è il comportamento tipico.

Vediamo perciò la forza che il nostro pettorale deve generare ai suoi estremi (il suo carico interno), la curva blu:

  • In fase di discesa, la velocità è costante e la tensione generata dai nostri muscoli si incrementa all’aumentare della difficoltà delle varie leve articolari, secondo la solita curva statica.
  • Quando il bilanciere deve essere frenato la velocità non è più costante, ma varia nel tempo: una variazione di velocità è possibile solo se c’è una accelerazione, ma una accelerazione è possibile solo se c’è una forza: oltre alla forza statica necessaria per mantenere il bilanciere in quel punto, è necessario generare una forza dinamica per frenare il bilanciere stesso! Più la variazione di velocità è brusca, più forza devo generare, ed ecco il primo corno che si esaurisce quando il bilanciere è fermo: devo generare un picco di forza per frenare il bilanciere.
  •  A questo punto per tenere il bilanciere al petto devo generare solo la forza statica che mi serve
  •  Quando devo far partire il bilanciere accade esattamente l’opposto: devo rimetterlo in moto, facendo variare nuovamente la sua velocità, perciò, ancora, devo accelerarlo e per far ciò devo imprimere una forza maggiore di quella statica: più velocemente voglio metterlo in movimento, più forza devo dare. Ecco il secondo corno.
  • Quando il bilanciere si muove a velocità costante, devo semplicemente controbilanciare la forza di gravità dandogli la forza statica necessaria all’altezza in cui si trova (cioè in funzione delle leve articolari che si hanno alla data posizione)
Come si vede, il movimento dinamico è del tutto differente da quello statico e l’introduzione del fattore tempo fa cambiare le carte in tavola: frenare e far ripartire il bilanciere impone ai muscoli di generare un picco di tensione (cioè di forza o di contrazione, che nel nostro caso sono sinonimi).
Ma un picco di tensione/forza/contrazione è possibile solo con un utilizzo maggiore delle fibre muscolari. Sono riuscito a comunicarvi un messaggio? Variare la velocità di esecuzione permette un diverso coinvolgimento delle fibre. Wow… però, aspettate.

In giù e in su non è la stessa cosa.

Cerchiamo di avere una visualizzazione di quello che avviene internamente al muscolo, perchè alla fine è questo che ci interessa.
Durante la discesa si ha una contrazione eccentrica poiché la tensione muscolare deve aumentare mentre il muscolo si sta contraendo. Non si tratta di una eccentrica “pura”, una ripetizione negativa perchè non dobbiamo contrastare un peso che ci vorrebbe schiacciare, ma stiamo controllando la sua discesa.
Via via che è richiesta forza si attaccheranno sempre più testine di miosina ai filamenti di actina, e sempre più testine verranno “tirate” a causa dello stiramento muscolare. Se supponiamo che stiamo facendo una ripetizione di una serie non massimale, questa eccentrica non sarà così devastante come una bella negativa con il 130% del proprio massimale, perciò il “danno” muscolare dovuto ai microstrappi sebbene presente non sarà così intenso.
Dico questo perchè non voglio che si confondano le eccetriche massimali degli studi sull’ipertrofia con le eccentriche di una semplice serie a molte ripetizioni.
Poiché il movimento è un allungamento del muscolo sotto tensione, i fusi neuromuscolari registreranno questa situazione iniziando a inviare i loro treni di impulsi sempre più ravvicinati ai rispettivi motoneuroni, perciò il riflesso miotatico inizia a farsi sentire, potenziando la contrazione muscolare.
Nel momento in cui devo fermare il bilanciere dando un impulso di forza, il riflesso miotatico potenzia la frenata del bilanciere! Contemporaneamente, se siamo allenati, gli organi del Golgi non entreranno in funzione, perciò non avremo il “depotenziamento” della contrazione.
Non solo: in discesa lo stiramento permette di avvantaggiarsi delle cosiddette proprietà viscoelastiche del muscolo. Il muscolo ha infatti proprietà meccaniche come tutti i materiali, per quanto sia tessuto vivente.
Per dare un’idea della viscoelasticità masticate una gomma, poi quando è tutta salivosa e schifosa prendetela fra le dita di una mano. Pinzatela con le dita dell’altra mano e tirate forte: percepirete una resistenza “gommosa” che diminuisce allo stirarsi della gomma stessa. Più velocemente tirate, più resistenza avrete e, viceversa, se tirate molto lentamente la gomma si allungherà come se fosse soffice. Se raffreddate la gomma questa resistenza sarà maggiore, se la riscaldate sarà minore.
Le fibre della gomma sono elastiche, ma hanno bisogno di un certo tempo per deformarsi: se voi tirate troppo velocemente queste non fanno in tempo ad adattarsi e esercitano così una controtensione. E’ la “viscosità”, come accade quando siete nell’acqua fino alla vita e volete correre: l’acqua diventa “dura”, mentre se camminate è tutto più semplice..
Un muscolo ha questa caratteristica di elasticità che dipende dalla velocità di stiramento: più velocemente lo stirate, più resisterà, come la gomma da masticare, indipendentemente dalla sua capacità di contrarsi. Ovviamente, siete fatti di ciccia, non di gomma, perciò la viscoelasticità è limitata, a meno che non vogliate massacrarvi, ma contribuisce a frenare il movimento.
Il “riscaldamento muscolare”, ad esempio, fra le tante cose serve a rendere meno viscosi i muscoli proprio con il calore che viene generato, diminuendo la probabilità di infortuni.
Perciò in discesa parte della forza che il muscolo genera per frenare il movimento viene dalla vostra contrazione volontaria, parte dal potenziamento del riflesso miotatico, parte dalla viscoelasticità: più il carico è basso e più velocemente scendete, e più le ultime due componenti diventano importanti.
Se state un minimo attenti, potete sperimentarlo su voi stessi e sopravvivere per raccontarlo: mettete un carico bassisismo, dell’ordine del 20% del massimale, e fate una ripetizione “piano” e poi una “veloce”, sia in eccentrica che in concentrica, cercando di sparare via il bilanciere: nel secondo caso la forza che voi dovete volontariamente imprimere è decisamente inferiore. Il vostro cervello deve lavorare meno e il bilanciere salterà via dal petto.
Tornando alla nostra ripetizione, sia il riflesso miotatico che la viscoelasticità si esauriscono un un certo intervallo di tempo: il primo perchè l’attività elettrica dei fusi neuromuscolari termina con il cessare del movimento eccentrico quando facciamo la pausa al petto, la seconda perchè “l’effetto elastico” ha il tempo di affievolirsi perchè l’energia elastica accumulata viene dissipata sotto forma di calore..
Quando devo allontanare il bilanciere dal petto la generazione della forza del secondo corno è tutta a carico del mio sistema nervoso centrale: niente fusi, niente viscoelasticità, perciò il film è tutto un’altro. La contrazione concentrica non ha nessun effetto potenziante.

Ok, voi non fate la pausa, lo so… Però la pausa mi serve didatticamente per far capire la differenza “interna” delle due situazioni.

Ecco quello che fate voi: nessuna pausa al petto, un corno solo. In questo caso all’inversione del movimento beneficiate sia del riflesso miotatico che dell’elasticità data dalla viscosità muscolare: i fusi neuromuscolari inviano scariche potenzianti anche quando iniziate la concentrica perchè non cessano istantaneamente la loro attività, e l’effetto elastico dovuto alle proprietà meccaniche dei vostri muscoli restituisce l’energia elastica accumulata durante la discesa sotto forma di movimento.
Risultato finale: la concentrica è potenziata dall’eccentrica, sempre.
Interessanti considerazioni.

Una ripetizione eccentrica e una concentrica hanno perciò una risposta meccanica e fisiologica diversa! Questo può essere sfruttato, gestito o quanto meno utilizzato per non farci male! L’importante è che abbiate chiaro cosa accade quando eseguite un movimento.

  • Una eccentrica controllata ma “decisa” e una inversione senza pausa nel punto più basso creano le migliori condizioni per una concentrica potente. Questo è assolutamente vero in tutti gli esercizi, nel bene e nel male. Ad esempio, nello squat “prendere il rimbalzo” è una tecnica avanzata che usano i powerlifter che accelerano negli ultimi centimetri della discesa per caricare i loro femorali e ottenere una conseguente uscita vantaggiosa dal punto più basso: è come se si “mollasse un po’” al termine del movimento. Chiaro che tutto questo è sicuro solo se il resto della postura è mantenuto: schiena tesa e compatta, spalle rigide e tutto il resto!
  • Prendere il rimbalzo è ciò che avviene quando si vedono persone affondare a velocità stratosferiche durante serie di squat (i più temerari anche nello stacco) con carichi medi ma molte ripetizioni: questo giochino con un peso relativamente leggero permette loro di macinare ripetizioni in più. Per esperienza diretta, funziona. Attenzione però che a muscoli stanchi è facile prendere il rimbalzo e flettere la schiena. Come dicevo, nel bene e nel male.
  • I movimenti puramente concentrici sono più difficili di quelli eccentrici-concentrici, e non sto a dire il perchè a questo punto: la prima ripetizione di una serie di trazioni, di lento avanti/dietro, la prima ripetizione di un curl per i bicipiti partendo dal basso, la panca concentrica (quella dove si parte dai fermi di sicurezza di un rack), la prima ripetizione di stacco fatta in tecnica sfiora-riparti, lo stacco fatto con la pausa a terra. Questi esercizi necessitano di un coinvolgimento maggiore del sistema nervoso a parità di carico sul bilanciere.
  • Una delle caratteristiche della pausa nel punto più difficile è di annullare le componenti di forza “aggiuntive” che, per quanto non siano cheating perchè fanno parte del vostro muscolo sono comunque un aiuto. Per questo la panca con fermo al petto, fosse anche mezzo secondo, è ben più difficile di quella senza fermo. Ma, mi raccomando, non fate i Bibbì ottusi fissati con la massa: “più difficile” non implica “maggior stimolo ipertrofico”, io non lo dico, non l’ho mai trovato scritto, non ho materiale per dirlo. E’ tutto da dimostrare che un maggior coinvolgimento del sistema nervoso, a partità di peso sul bilanciere ed esercizio, provochi uno stimolo ipertrofico maggiore.
  • Quello che è sicuramente vero è: se il riflesso miotatico fa eseguire una ripetizione in più, sicuramente quella ripetizione in più è uno stimolo ipertrofico maggiore. Questo è “gestire” il riflesso miotatico. Inutile, cioè, che fate un curl per i bicipiti eseguendolo lenti come lumache, poi per chiudere il movimento fate una contorsione allucinante: tanto vale dare una acceleratina nella discesa della penultima ripetizione per avere più spinta nella concentrica successiva e chiudere questa per bene…
Piano o forte, questo è il dilemma
La velocità di esecuzione influenza la dinamica della ripetizione, e in palestra si sentono teorie contrastanti, molte delle quali a mio avviso assolutamente senza senso.
Ecco tre ripetizioni di panca con pausa al petto eseguite a velocità differenti, con lo stesso carico. Riporto l’ipotetica forza che il pettorale deve sviluppare in blu e la velocità del bilanciere in rosso. La differenza nella dinamica dei “corni” è data dalla variazione della velocità.
Più devo frenare o accelerare il bilanciere nel punto più basso, più forza devo generare e le corna si allungano.
E’ perciò interessante notare come l’esecuzione “reale” di una ripetizione coinvolga differentemente il muscolo rispetto ad una situazione statica
Ammettiamo che il peso sul bilanciere vada a stimolare il 70% della massa muscolare del pettorale quando questo è nel punto più basso. In realtà, proprio perchè devo muovere il bilanciere ad una certa velocità, in certi istanti il coinvolgimento muscolare sarà sempre maggiore di questo ipotetico 70%. Più il bilanciere si muove velocemente, più questo 70% si incrementerà.
Perciò nel mondo delle ripetizioni reali l’affermazione “è il carico che determina il coinvolgimento del muscolo” non è propriamente esatta, ed è possibile stimolare le fibre bianche super-ipertrofizzabili con un allenamento a basso carico ma “dinamico”: sparare a velocità supersonica il bilanciere con il 50% del massimale caricato sopra stimola di sicuro una percentuale di muscolo ben più elevata di quella che si può pensare, a causa della velocità di esecuzione.
Il motivo è che quello che conta è il carico interno: la forza che i nostri muscoli devono sviluppare per mantenere il carico esterno in una certa traiettoria e velocità di movimento.
Andare sempre forti non è il massimo
Non fatevi però fregare: la stimolazione delle fibre veloci avviene per un tempo molto breve. Non è da confondere lo stimolo con l’esaurimento: l’allenamento corretto prevede di stimolare una ben precisa “qualità” ma anche di esaurirla. Per questo motivo è ben difficile ottenere una ipertrofia con carichi bassi ma veloci: non c’è il tempo sufficiente all’esaurimento.

Ecco una situazione più realistica rispetto al disegno precedente dove la forza durante la pausa era identica in tutti e tre i grafici. In realtà chi esegue le ripetizioni molto velocemente mette sul bilanciere un carico molto basso. Se i valori di picco sono identici, cioè è possibile stimolare molte fibre in entrambi i casi, si capisce che la durata di questo stimolo sia del tutto differente e che, in media, la forza che il muscolo deve produrre sia comunque inferiore nel caso “lento” rispetto a quello del caso “veloce”, come esemplificato nel disegno seguente dove le aree colorate sono proporzionali sia al livello di forza, sia alla sua durata.

Vorrei sottolineare perciò che non si diventa grossi facendo le ripetizioni veloci a basso carico perchè si stimolano le fibre bianche. Si stimolano, ma non basta: è necessario un certo tempo sotto sforzo, perciò se allungo la base del “corno” la sua altezza va a diminuire, perchè è possibile fare ciò solo rallentando l’esecuzione. Ma se rallento l’esecuzione la velocità nel punto più basso varia meno, e ciò significa che devo generare meno forza! Spiace per i fautori di questa teoria, ma la Fisica è Fisica.
Pertanto, per ottenere lo stimolo per un tempo corretto devo… caricare di più. Non posso esimermi dal mettere peso sul bilanciere!
Allenamenti di questo tipo hanno tutt’altra funzione e, se effettuati, devono essere inseriti nel contesto corretto: la “velocità” ha senso per migliorare le capacità di reclutamento e di sincronizzazione delle fibre, cioè ha valore didattico e propedeutico ad un successivo “sfruttamento” del nuovo livello di miglioramento tecnico.
Cercate di visualizzare questi corni, questi picchi come delle frecce che si conficcano nelle vostre carni e nelle vostre articolazioni quando eseguite le ripetizioni strattonando e strappando: state sottoponendo il vostro corpo a delle brusche variazioni di velocità, possibili solo grazie a dei picchi di forza impulsiva che richiedete ai vostri muscoli. Un conto è ottenere questo risultato con la giusta tecnica, un conto è se state facendo male: per quanto i carichi possano essere bassi la tensione muscolare (che agisce anche sui tendini e su tutto il tessuto connettivo) sarà elevata, con conseguente possibilità di farsi male.
Questo spiega perchè c’è chi si fa male invertendo il movimento a razzo nel lento dietro, anche con un peso ridicolo, nell’ultima serie di stripping: leva articolare assolutamente svantaggiosa, picco di forza richiesto alla cuffia dei rotatori, lesione del sovraspinato assicurata.
Morale: a meno che non inseriate il parametro “velocità esecutiva” all’interno di un programma appropriato, non ha molto senso calcare la mano su questa variabile, dato che l’aumento di velocità non è il mezzo per ottenere un corretto stimolo allenante. Non serve andare veloci in un programma per la massa.
Andare sempre piano non è il massimo 🙂
Saremmo a questo punto tentati di fare l’opposto: se “non serve” andare veloci, allora “serve” andare piano! Non è così: un’esecuzione volontariamente “lenta” elimina tutte le richieste di forza impulsiva, non allenando di fatto la capacità di contrazione sincrona delle fibre.
Depennare del tutto questa componente dall’allenamento impedisce la crescita dei massimali. Un peso massimale che ci sovrasta è interpretato dal cervello come una situazione di pericolo, e la reazione è un “ordine” a allontanarsi da questo pericolo, rapidamente. Difficilmente il cervello sarà in grado di modulare questo ordine, come si vorrebbe in una ripetizione estremamente lenta dove la forza dovrebbe crescere gradualmente.
Viceversa, il cervello riesce a mettere in moto rapidamente i suoi muscoli: la reazione attacco-fuga è impulsiva. Invece di andare contro Natura, dovremmo seguirla e potenziare questa caratteristica. Eliminare del tutto le componenti dinamiche impedisce lo sviluppo di questa abilità.
E’ paradossale, ma rallentare volutamente un carico ad una velocità estremamente bassa è fortemente impegnativo per il nostro sistema nervoso, non a caso tecniche come il SuperSlow (che prevendono ripetizioni lentissime) vengono rapidamente accantonate dopo il successo dato dalla novità: stress elevato, carichi bassi, risultati non soddisfacenti. In sintesi, “due palle”.
Quello che accade, perciò, è che è sì possibile eseguire ripetizioni lentissime, ma con carichi sicuramente molto lontani dalle proprie possibilità. Meno carico, meno stimolo. In un programma per la forza rallentare volutamente una ripetizione non porta assolutamente benefici. E per la massa?
Una ripetizione molto lenta pone un diverso impatto “metabolico” sull’organismo rispetto a una ripetizione dove non si dà enfasi alla “lentezza”. Durante la contrazione muscolare i muscoli vengono letteralmente strizzati e il sangue circola molto peggio o addirittura viene spinto fuori. I muscoli si trovano in una condizione di ipossia. In una ripetizione a velocità ridotta la durata di questa ipossia è superiore al normale.
Ci sono studi che fanno vedere come l’ipossia sia un fattore determinante per l’ipertrofia. Il KAATSU ne è un esempio: esercizi per gli arti svolti con il 20% del massimale ma con una specie di laccio emostatico che stringe braccia o gambe. Questo metodo provoca una risposta ipertrofica anche con questi carichi estremamente scarsi.
Leggetevi qualcosa di questo metodo, ma sempre con le orecchie dritte: ad esempio, il fatto che la NASA sia interessata a questo sistema non significa che funzioni per voi. La NASA ha tutto l’interesse ad evitare una decalcificazione delle ossa dei suoi astronauti e il KAATSU è una buona soluzione: posso far allenare le persone nello shuttle senza trasportare centinaia di Kg di ferro in orbita, ma con pochissimi pesi e molti lacci emostatici.

Considerate però che l’ipossia è UN fattore, uno dei tanti.

 
A grandi linee ogni carico ha il suo tempo massimo di esecuzione, perchè poi subentra la fatica. Nel disegno qua sopra esemplifico questo concetto: ipotizzo di eseguire 3 ripetizioni in 9 secondi, 3 secondi l’una, o due ripetizioni da 4.5 secondi.
Quello che accade è che il carico che mi permette di eseguire un esercizio da 9 secondi, me lo farà fare sempre per 9 secondi, sia che faccia 3 ripetizioni che ne faccia 2! Ok, non è proprio così, ma in prima approssimazione può andare. Provate, di sicuro non è che potrete fare 3 ripetizioni da 4.5 secondi.
Tutto questo ha a che fare con i vari metabolismi energetici di cui prima o poi parleremo, in particolare con quello anaerobico lattacido. Sono convinto che nell’esperienza di ciascuno di voi una serie con un carico medio e impegnativo può avere tante ripetizioni quante ne entrano in 20 secondi al massimo.
Direi, addirittura, che l’ipossia accentua l’accorciamento della serie, perciò alla fine la durata dell’esercizio è minore rispetto al caso da 3 ripetizioni. Se voglio effettuare una serie di 3 ripetizioni dovrò perciò abbassare il peso, e alla fine non c’è un reale vantaggio.
La tecnica di esecuzione lenta riesce ad intensificare la fatica complessiva perchè, solitamente, in palestra le persone eseguono gli esercizi veramente male, perciò quando poi rallentano eliminando rimbalzi e contorsioni provano una difficoltà superiore. Ma questo non è dovuto alla tecnica in se, ma al fatto di variare qualcosa nell’allenamento. Non a caso c’è chi ottiene risultati con questa tecnica. Però c’è chi ottiene risultati anche con la tecnica opposta, quella di andare forte…
Mi ricordo le volte in palestra che facevo la panca con la mia solita esecuzione controllata ma non lenta: c’era sempre qualcuno che mi chiedeva a che servisse fare così piano…
Analogamente, tecniche come la tensione continua hanno lo stesso problema: non estendere completamente le articolazioni per evitare un rilassamento muscolare ha come effetto una maggior ipossia che accorcia la durata della serie che è sì più dura, ma è anche più corta e/o svolta con meno peso.
Non fatevi fegare perchè state facendo massa: è sempre il carico che determina quanto muscolo viene coinvolto, perciò se questo scende sotto un certo livello per farvi fare la seriettina a velocità di un frame al secondo, state facendo uno sforzo immane per non ottenere nulla.
Utilizzate il rallenamento delle ripetizioni in maniera oculata e, più che altro, imparate una bella tecnica da utilizzare sempre, anche durante serie superlattacide.
Veloce quando serve, lento quanto basta
Come sempre quando si parla del corpo umano, l’approccio migliore è il buon senso: intuitivamente, esiste una velocità adatta ad ogni carico. Se il peso è troppo leggero, potrò muoverlo velocemente, se è troppo pesante, non mi sarà possibile.
Una esecuzione con tecnica corretta è quella che, visivamente ed intuitivamente, muove un carico “medio” a velocità “media”: è il carico che fa la velocità e non viceversa. Solitamente movimenti con un carico tale per cui sia l’eccentrica che la concentrica sono dell’ordine dei 2 secondi costituiscono un buon punto di partenza. Non c’è nulla di scientifico in questi 2 secondi, ma provate a cronometrare una buona esecuzione di una serie da 3, 4 ripetizioni: troverete questi due benedetti secondi.
Potremmo fare un piccolo studio calcolando una distanza media per la traiettoria nei vari esercizi, poi calcolare la velocità esecutiva, per poi correlarla con la curva tensione-velocità. Sono convinto che troveremmo le velocità tipiche del powerlifting, scoprendo quello che già sappiamo: una ripetizione “sotto controllo” con un peso medio-alto è “tipicamente” svolta in 2 secondi in giù e 2 secondi in su”.

Sebbene queste siano i tempi in gioco, una analisi più accurata e competente di una ripetizione “controllata” è la seguente:

  •  discesa eccentrica “decisa”, in assetto corretto, a velocità costante, in modo da “caricare” i muscoli di energia elastica e potenziare la contrazione muscolare con il riflesso miotatico
  • massimo sfruttamento dell’eccentrica nell’inversione del movimento e rapida generazione della forza per sparare il bilanciere verso l’alto
  • tenuta della traiettoria e della velocità, fino alla chiusura del movimento

L’incremento della forza massimale passa per l’allenamento della capacità di mettere in moto quanto più velocemente possibile un carico elevato. Questo proprio per affinare la capacità dell’organismo di togliersi di torno un pericolo nel tempo più breve possibile.

Un ciclo di forza per il bodybuilding dovrebbe allenare queste due componenti: la capacità di gestire carichi elevati, “massimali”, e la capacità di spostarli “velocemente”. Facendo riferimento alla solita curva tensione-velocità, dovremmo spostarci su due punti diversi per massimizzare entrambe le componenti.
Solitamente i cicli di forza del bodybuilding partono dal punto a velocità più elevata e terminano in quello a velocità più bassa, o addirittura partono e terminano in questo punto: il bodybuilder concepisce un ciclo di forza come utilizzare quanto più carico possibile nell’allenamento ma questo è, come detto, un errore.
In palestra i cicli di forza stallano perchè il classico 3×3 è a pesi così elevati che i muscoli sono così sotto tensione da non poter sfruttare le loro capacità di generare forza impulsiva: la velocità del bilanciere si abbassa e si perde la capacità di invertire il movimento correttamente. In più se il ciclo è “di forza” la tendenza a concentrarsi sul carico fa perdere attenzione sul volume di allenamento che si decrementa così tanto da cadere sotto la soglia del corretto stimolo.
Questo errore è tipico anche di chi imposta per i cicli di forza una progressione da carichi più bassi: senza saperlo sta percorrendo la curva tensione-velocità da destra a sinistra, in salita. Perciò inizialmente sta allenando la forza “veloce” perchè i carichi bassi sono mossi a buona velocità, apprendendo la corretta inversione del movimento e affinando le capacità coordinative, mentre nel tempo l’aumento del carico svilupperà le capacità di generare tensione massimale, beneficiando però delle abilità precedentemente acquisite.
L’errore sta nel far calare il volume e incrementare troppo i carichi, arrivando allo stallo fisiologico. Ma, tanto, il bodybuilder effettua dei cicli di forza limitati nel tempo e al momento dello stallo torna ad un altro tipo di allenamento. Il problema è che tutto questo è un peccato: come mi fece notare una volta Enrico, questo modo di fare permette essenzialmente di “riconfermare” i soliti livelli di forza e non di incrementarli. Per questo ci sono persone che si mantengono stabilmente ai soliti massimali o, se incrementano, questo incremento è minimale: prendono la rincorsa e poi sbattono la faccia sul muro dello stallo.
Una scheda di forza ben fatta prevede, invece, una alternanza o una concomitanza di allenamenti per entrambe queste qualità. I più smaliziati ritroveranno in questa mia trattazione degli elementi di uno schema “alla Westside” o, semplicemente, di un allenamento di tipo “coniugato”. Per chi non conosce queste cose, potremmo definire tutto questo come “roba da powerlifting”. In parte è vero, ma io penso che, se si deve aumentare la propria forza per poi sfruttarla nel puro bodybuilding, è “furbo” inserire degli elementi di protocolli che funzionano…
Durante i cicli di massa voi sfrutterete a fini ipertrofici la forza che avete ottenuto dai precedenti cicli appositi. Potremmo perciò definirla come forza funzionale per usare una parolina che va di moda: forza in funzione dell’ipertrofia.

In un ciclo di massa non dovrete focalizzarvi sulla velocità di esecuzione, ma semplicemente seguire il classico criterio evergreen “movimenti lenti e controllati”. In un ciclo di forza, invece, dovreste distinguere le due componenti e operare di conseguenza. Ma solo in queste fasi qua.

Riporto due grafici classici della Teoria dell’Allenamento: scopo di una scheda di forza è migliorare la velocità esecutiva a parità di forza (in alto) o, a parità di velocità migliorare la forza (in basso). Nel nostro caso le variazioni sono poco pronunciate ma ci sono.
Ah… avete capito come strutturare una scheda di forza secondo queste idee? No? Infatti non l’ho detto eh eh eh

Pausa o non pausa per la massa, questo è il dilemma

A parte la panca con fermo al petto, ma in quali altri esercizi si utilizza la pausa nel punto più difficile, dài… Cerchiamo di capire però quali siano le differenze e come sfruttare questa tecnica
Nel disegno qua sopra ho riportato a sinistra la tensione generata dal pettorale nel caso di una ripetizione senza pausa, e a destra con pausa. Ho supposto che la velocità di discesa e di risalita siano le stesse. A parte i picchi di tensione di cui abbiamo già parlato, la differenza rilevante è l’area sotto le curve: con la pausa l’area è maggiore. Non solo, la pausa nel punto più basso crea uno stimolo omogeneo e prolungato nel tempo.
Perciò la pausa nel punto più difficile crea una difficoltà aggiuntiva per due motivi: il movimento concentrico non è facilitato dal riflesso miotatico, e l’intera ripetizione è più “faticosa” perchè dura di più.
La pausa nel punto più basso è un mezzo semplice ed efficace per aumentare lo stimolo senza creare troppi stress. In un mondo di assurde tecniche di intensificazione questa idea è troppo banale per essere utilizzata!
Immaginate di fare lo squat alla solita velocità esecutiva, con il solito assetto (corretto), ma con un po’ di peso in meno. Nel punto più basso fermatevi e contate “milleuno”, poi ripartite. Lo squat diventa un altro esercizio, letteralmente. La pausa, eliminando rimbalzi e effetti strani, vi impone per risalire uno sforzo brutale.
Potete inserire questa tecnica non solo nel punto più basso, ma in punti qualsiasi del movimento. Nello stacco potete fare una pausa al ginocchio, sia in salita che in discesa, come nelle trazioni quando siete nel mezzo del movimento, oppure potete imporvi di ripartire dal basso quando siete completamente immobili.
Gli esperimenti da fare sono innumerevoli, e praticamente tutti gli esercizi si prestano a questa tecnica. Non solo, ma è anche molto modulare e sicura: le normali tecniche di intensificazione sono rivolte a prolungare la durata totale della serie, mentre la pausa agisce sulla singola ripetizione: posso aumentare lo stimolo allenante in condizioni di freschezza, per poi eliminare la pausa e continuare la serie.
Non dovete fare per forza una pausa in un punto qualsiasi del movimento, ma tenete a mente questa semplicissima tecnica quando volete intensificare qualcosa nel vostro allenamento: la pausa può essere un potente mezzo durante un ciclo di massa.
Faccio la pausa o vado piano?

Sembra che stia cadendo in contraddizione: prima dico che andare piano non va bene, poi invece esalto la pausa che è ben più di andare piano, è proprio fermarsi!!!

Nel disegno qua sopra ho riportato a sinistra il caso di una ripetizione con pausa e a destra di una ripetizione senza pausa che però ha uno stimolo (nella definizione che abbiamo dato precedentemente) apparentemente equivalente: le aree sotto le due curve sono identiche.
Le due situazioni non sono identiche: una pausa è l’inserimento di una difficoltà all’interno della solita forma di esecuzione, rallentare per ottenere lo stesso stimolo è un’altro modo di eseguire la stessa ripetizione. In una ripetizione con pausa la dinamica esecutiva non cambia, e il sovrastimolo per frenare e accelerare il bilanciere sono sempre presenti, in una ripetizione lenta questi elementi non ci sono.
Personalmente preferisco una ripetizione più difficile rispetto ad una ripetizione differente.
Infine, il TUT
Charles Poliquin ha introdotto negli anni ’90 il famoso TUT, time under tension, tempo sotto tensione. Il TUT viene indicato con 4 numeri, il primo è il tempo dell’eccentrica, il secondo la pausa, il terzo la concentrica e il quarto la pausa (credo…). Perciò 2.0.2.0 significa che scendo in 2 secondi, non faccio la pausa e risalgo in 2 secondi, ripartendo subito. Se avessi indicato 2.0.X.0 la X avrebbe avuto il significato di “massima velocità possibile”.
Come tutte le grandi novità, c’è stato un periodo in cui il TUT era sulla bocca di tutti, sembravano tutti macchinisti, “TUT TUT!! Signori in carrozza!”. Si sentivano anche delle grosse idiozie, mai capito se anche da parte dell’autore, la più inenarrabile era che per ottenere una risposta ipertrofica il tempo di una serie non poteva essere inferiore a 40 secondi (forse non erano 40, ma comunque uno sproposito): per tenere quelle tempistiche il carico sarebbe dovuto essere infimo. Poi siamo passati al TUT globale, somma di tutti i TUT del gruppo muscolare, dell’allenamento, e i 40 secondi sembra si riferissero a questo nuovo parametro.
Non so se si capisce ma a me il TUT non è mai piaciuto… Secondo me i tecnicismi hanno senso se descrivono qualcosa di utile, altrimenti li percepisco solo come uno sfoggio di bravura, atteggiamento che detesto, è più forte di me.
In definitiva il TUT è un modo per quantificare lo stimolo allenante, il volume di lavoro. Il principale limite che non mi ha fatto mai digerire il TUT è che non tiene conto del carico, perciò non rappresenta correttamente l’area sotto la curva tempo-tensione, che invece è una miglior rappresentazione dello stimolo allenante. Banale: supponendo di eseguire sempre le ripetizioni allo stesso modo, uno stimolo allenante definito come serie x ripetizioni x Kg (che altro non è che il tonnellaggio totale conosciuto dai tempi di Noè) permette di avere più informazioni.

Non voglio essere ipercritico oltre misura: diciamo che il TUT ha senso per compattare delle indicazioni in poco spazio:

  • 2.0.2.0 si dovrebbe leggere “esecuzione controllata con velocità che dipende dal carico, niente pausa in basso”
  • 2.1.2.0 si dovrebbe leggere “come prima, ma fai una pausa del tipo milleuno in basso”
  • 1.0.1.0 invece sarebbe “veloce a scendere, veloce a risalite”
  • 3.0.3.0 starebbe per “controlla la discesa e la risalita” mentre 4.0.4.0 “controlla molto la discesa e molto la risalita”

Ok, avete capito, no?

  • 3.0.1.0 è “controlla la discesa e vai veloce in risalita”, mentre 3.0.X.0 è “controlla la discesa e spara quel (beep) di bilanciere verso l’alto”
  •  4.1.4.0 è “fai tutto pianissimo”
  •  1.5.X.10 si interpreta con “se mai farai una ripetizione così ti bevi tutto quello che ti dicono sui forum”. Ah, aspettate… 1.5.X.10 @ 80% 1RM, ecco, ora è perfetto
In un ciclo di massa ha perciò senso introdurre delle (opportune e sensate) variazioni di velocità esecutiva. Del resto, nel ciclo di forza “come piace a me” pur non parlando di TUT ho esplicitamente distinto il “veloce” dal “piano”!
Anzi, credo che il TUT sia una di quelle cose su cui andrebbero svolte molte sperimentazioni. Sono però convinto che le variazioni di velocità debbano essere comunque limitante, nell’intorno della velocità determinata dal carico. In altre parole, un 4x6x70% ha la sua velocità esecutiva: posso intensificare il mio lavoro aumentando “un po’” in più o in meno la velocità di quello che faccio, a patto che il carico non venga abbassato.
Nel momento in cui per tenere una certa velocità esecutiva devo scaricare il bilanciere, sto commettendo un errore. Per quanto la scheda sia per l’ipertrofia a me piace mantenere una certa zona di lavoro in cui il carico rimane comunque un elemento importante.
Conclusioni
Sembra impossibile, ma come sempre quello che succede è che il buon senso è sempre una chiave per ottenere le cose.
L’aumento dei carichi è funzionale alla massa, pur non essendo lo scopo primario del culturista. Per fare questo è necessario allenare le due caratteristiche primarie necessarie a spostare carichi elevati: produrre una contrazione elevata in un intervallo di tempo molto breve e tenere il più possibile questa contrazione. Possiamo chiamarle “forza massimale” e “forza veloce”. Questi due aspetti formalizzano il comportamento del corpo umano sotto stress: allontanare il pericolo più velocemente che si può.
Scopo di una scheda di forza è permettere l’incremento dei carichi da applicare per questo tempo, scopo di una scheda di massa è fornire lo stimolo nel tempo sulla base di quei carichi. Perciò le due cose sono annodate fra loro.
Se voi cercherete di sviluppare una buona tecnica esecutiva, senza strappi o errori, ogni ripetizione sottoporrà il corpo al giusto stress allenante. Così facendo il tempo di ogni singola ripetizione non sarà importante se non in particolari periodi del ciclo di allenamento.
L’equilibrio è questo: se enfatizzare la velocità, in positivo o in negativo porta comunque ad una perdita di peso sul bilanciere, questa perdita alla fine va sempre a controbilanciare gli effetti positivi che questa enfasi produce.
Alternare schemi di massa a schemi di forza in maniera intelligente dovrebbe essere il modo principale con cui il frequentatore della palestra sposta verso l’alto il suo livello prestativo.
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L’allenamento è un’arma

Il secondo anno dell’università, per una serie di motivi troppo soporifici da spiegare, preparai i 100 metri allenandomi solo nel fine settimana. Tre allenamenti di fila, Venerdì, Sabato e Domenica.
Tutto non ottimale, specialmente l’allenamento della Domenica mattina. Non che io fossi un’uomo di mondo con serate piene di droga, sesso e rock’n’roll, ma di sicuro le strippate in pizzeria del Sabato sera si facevano sentire qualche ora dopo, in pista.
Mi ricordo ancora l’allenamento invernale: 300-300-250-250-200-200-150, robetta lattacida dove lo scopo è tenere un certo ritmo e combattere la formazione dell’acido lattico. In realtà il tutto si trasformava in una specie di espiazione dei peccati commessi e poco ci mancava che non uscissi dal mio corpo per sollevarmi verso la Luce Divina, osservando le mie spoglie mortali correre dall’alto
Una vera prova di carattere, io o la pista senza esclusione di colpi. Peccato che l’allenamento così fatto non servisse a niente. Se infatti la velocità scende sotto un certo livello, non si sta più correndo, gli schemi motori non sono corretti, il sistema energetico da allenare non è quello giusto poiché non si combatte l’acido lattico ma si subisce cercando di non soccombere, le sensazioni sono sbagliate, anche il tipo di stanchezza è diverso da quanto prevede il tipo di prova.
In altre parole, mi stavo stancando e basta, un po’ come se in macchina volessi andare forte tirando allo spasimo la retromarcia. Fatica, stress del tutto inutili.
Stavo solo producendo spazzatura. Spazzatura in cambio di nulla.
L’allenamento è un’arma, sta a noi puntarsela alla tempia e premere il grilletto. Cerchiamo di capire come ci possiamo far male con l’allenamento.
Non siamo i più bravi
A questo punto magari qualcuno che un po’ mi conosce si aspetta da me una frase del genere: “in ambito sportivo c’è un controllo migliore dell’allenamento perchè esistono prestazioni, riferimenti, gare mentre in palestra non essendoci una vera prestazione è facile perdersi negli eccessi”.
Invece no. Stavolta non siamo i più bravi a fare le cazzate, anzi, in questo campo siamo dei veri dilettanti. incredibilmente, è proprio in ambito sportivo che proliferano allenamenti insensati a fatica pura!
Podisti, ciclisti, nuotatori, ballerini, atleti in pista, pugili, ginnasti… tutta gente che ha la capacità di massacrarsi letteralmente per non ottenere nulla. Ho visto ciclisti consumarsi ad uno stato quasi larvale pur di allenarsi, ho visto podisti piangere perchè non potevano allenarsi a causa delle cartilagini consumate, altro che le navi in fiamme al largo dei bastioni di Orione…
Non fatevi fregare: al di fuori della palestra non sono più bravi di noi. Nel mondo amatoriale come nel mondo professionistico. Errori che io e i miei amici commettevamo 20 anni fa sono ancora oggi presenti, e mi sorprendo ancora quando vedo che nulla è cambiato. Non tutti, non sempre si allenano male, c’è gente incredibilmente in gamba e competente da cui possiamo solo imparare, ma se tanti sbagliano in palestra state pur certi che al di fuori non è che siano tutti dei grandi esperti.
L’arma: volume e intensità
Ecco la famosa curva volume-intensità, che nei salotti buoni serve per dire che più ci si allena meno intensità possiamo tenere e viceversa, più intensamente ci alleniamo e per meno tempo possiamo allenarci.
Questo è il disegnino che usano tipicamente i saccenti come me, quelli che sui forum rispondono “dipende” a qualsiasi domanda del neofita che vorrebbe un minimo di certezza, mandandolo fuori dai gangheri. “Dipende..” Dal contesto (un classico, che significherà poi ah ah ah), dal programma, dalla condizione fisica, dalle maree, dall’allineamento dei pianeti.

Ok, perchè è proprio disegnata così?

Il disegno è di tipo qualitativo, altro termine usato molte volte a sproposito per dire “non ho i numeri, ma su per giù fa così”. Ognuno di noi possiede una certa quantità di “cose possibili che può fare”, e le può fare “con un certo impegno massimo”. Per quanto la spiegazione sia scalcinata, è sensato dire che le cose stanno così.
Il prodotto di tutto quello che posso fare, Q, per la forza con cui queste cose possono essere fatte, F, dà il massimo delle risorse disponibili, R.
Più di R non posso sfruttare. Perciò quando mi alleno ho un limite massimo in termini di “quante cose”, cioè di volume V di cose possibili, e di “quanto impegno”, cioè di intensità I.

Posso ora esprimere I in funzione di V ottenendo una relazione di proporzionalità inversa, un concetto così complicato che spiegano alle scuole medie. Ecco la curva del disegno precedente, che per la cronaca è una semi-iperbole equilatera (quando volete essere cool dite proprio così, “semi-iperbole equilatera”, ma non scordate il “semi” che fa ancora più cool)

Però la curva disegnata con una linea non permette di evidenziare alcune cosette interessanti. Un disegno migliore: noi possiamo allenarci entro la zona rossa, perchè il prodotto VI è sempre minore del massimo a nostra disposizione. Sopra, siamo nella zona proibita.

Ok, nella realtà non è che se ci tiriamo un po’ il collo e sconfiniamo si scatena una crisi internazionale, però in questo modello non possiamo oltrepassare il limite. Ciò non toglie validità al discorso che farò.

E’ possibile evidenziare altre zone interessanti, come nel disegno qua sopra.

  • La “zona delle scottature” è quell’area che corrisponde ad intensità molto elevate, che posso tenere per un periodo limitato. Più il sole è forte, meno posso starci perchè mi scotto anche se sono abbronzato. Questa è un’area pericolosa perchè anche se mi mantengo nell’area consentita, non posso comunque farlo per un periodo indefinito. Meno ci sto, meglio è.
  • La “zona del sottoallenamento” è caratterizzata da volumi ed intensità tali per cui l’allenamento non produce l’effetto voluto. Non c’è da stupirsi che esista una zona del genere: l’allenamento è uno stimolo per produrre un adattamento, ma se lo stimolo è troppo scarso l’adattamento non ci sarà.
  • La “zona della qualità” è data dai giusti valori di volume ed intensità. Dobbiamo allenarci rimanendo all’interno di questi parametri. Come? Se fosse possibile, avrei già fatto i soldi e in questo momento mi starei gustando un bel cocktail con l’ombrellino in qualche resort hawaijano. Siamo tutti d’accordo che però quest’area deve esistere, anche perchè c’è chi questa oasi meravigliosa l’ha trovata dato che ottiene molto dall’allenamento.
  • Fra la zona proibita e la zona della qualità c’è la “frontiera della Morte”, una sottile fascia che separa queste due zone. Allenarsi in quest’area non è mai ottimale, perchè siamo sempre al limite: qualunque sia l’intensità con cui ci alleniamo, il volume è sempre troppo. Troppe serie, troppe sedute, troppo poco recupero. Sicuramente voi avete sperimentato delle piacevoli passeggiate in questo campo minato tutte le volte che avete deciso di caricare meno Kg perchè siete stanchi ma vi siete ritrovati a aggiungere serie o ripetizioni fino al massimo possibile perchè, in fondo, i Kg sono meno impegnativi.
  • L’ultima zona è quella della spazzatura. Quest’area è caratterizzata da un volume molto alto ad una intensità molto bassa. Vi starete chiedendo se esiste qualche tonto che può scegliere una zona del genere per allenarsi. Ognuno di noi (noi eh…) prenda lo specchio che ho messo sotto ogni sedia della platea e se lo metta di fronte. Oplà, avete di fronte delle persone che si sono allenate fra i gabbiani!
Un viaggio nella discarica – semplici esempi di errori classici
Produciamo spazzatura ogni volta che ci alleniamo al di sotto del minimo che crea l’adattamento specifico per l’attività in questione. Questo minimo esiste ed è specifico di ogni sport/attività, per quanto sia difficile da definire compiutamente. Perciò ogni sport ha la sua spazzatura specifica.
Nella velocità in pista c’è un massimo ammissibile ai tempi di ogni prova, che caratterizza il tipo di corsa. Se io corro i 60 metri così piano da avere il passo dei 400 metri, non mi sto allenando per la velocità. Allenamenti invernali ancora di moda sono batterie di 60 metri fatte con 30” di recupero propinate a chi fa i 100 metri. Roba sfiancante per atleti con poca capacità di resistenza lattacida: il lattato paralizza così tanto i muscoli da impedire i corretti schemi di corsa. Alto volume, bassa intensità. Fatica senza nulla in cambio.
Tipico di alcuni 800metristi è allenarsi come dei 1500 o 3000metristi, perciò ficcando nella settimana delle sedute di “lento”. Km e Km a ritmi blandi per “fare fiato” o “per smaltire”, ad un passo troppo lento per dare quegli adattamenti necessari per un 800 che è una gara di mezzofondo molto veloce. Questa roba è assolutamente prosciugante perchè non è a costo zero, i Km implicano microtraumi su microtraumi, scorie acide su scorie acide. Addirittura, “lento” per defaticare, altri Km aggiuntivi. Alto volume, bassa intensità. Fatica senza nulla in cambio.
Ma la ginnastica, il balletto, il pugilato, le arti marziali, il ciclismo, il nuoto e tutti gli sport hanno le loro brave sedute di “lento qualcosa” che è alto volume e bassa intensità. Certo, mica è che io sono l’unico furbo in un mondo di fessi, ma il punto è che tutto questo volume non solo è tanto ma NON E’ all’intensità minima che il dato sport richiederebbe, perciò drenano energia senza dare nulla e non c’è niente di più perverso che allenarsi in cambio di niente.

Ok, lo so, non mi credete. Però vi prego di darmi credito ancora per un po’

Ecco una tipica settimana di un tipico ciclista amatoriale, uno che ama la bicicletta, che si informa, legge e… si allena. Va comunque bene anche per un podista che prepara una corsa di 10-15Km
La garetta o l’allenamento in gruppo domenicale è un picco di intensità per quanto di breve durata rispetto al totale dei Km settimanali, poi c’è una uscita media e due di lento per fare la gamba. Passatemi il fatto che piazzi il lento nella zona della spazzatura.
Notate anche il fatto che l’uscita media sia in questo schema nella zona della morte, perchè il nostro atleta-tipo quando svolge un volume medio di sicuro lo tira al meglio (che equivale quasi sempre a “più che può”).
Ma cosa succede? Le gare sono faticose, meglio sarebbe farne di meno, oppure riposarsi. Ma… come si fa? Gli altri amici non riposano, perciò invece di stare fermi, il nostro amico fa una seduta defaticante di lento. Però magari aumenta i Km in una sorta di compensazione dell’intensità, dato che pedala o corre piano. Bang, spazzatura istantanea. Perchè non c’è un vero recupero, ma un lento stillicidio di energia che non viene reintegrata.

Così nel tempo, fino a che la situazione non diventa questa qua.

Il nostro amico non riesce più a rendere nell’allenamento o nella gara dove dovrebbe dare il top, perchè la fatica sistemica, globale per l’intero organismo, si fa sentire. Non ha più un picco di prestazioni o, meglio, questo picco è più basso. Anche gli altri allenamenti sono più scarsi, ma non scarsissimi. Compensa il tutto aumentando i Km dato che non riesce a sviluppare intensità. La spazzatura aumenta.
Ora, chiunque legga, qualunque sport faccia, cambi le parole e il contesto, però non mi venga a dire che non gli è mai capitata una cosa del genere. La situazione in cui avete sputato sangue e avete ottenuto sempre di meno per quanto culo vi siate fatti.
Mi ci gioco le (beep) che meno risultati avevate e più avete gonfiato i vostri allenamenti di volume stellare. Gioco volentieri le mie (beep) perchè so di vincere. Con chi credete di parlare? Con uno che si allena con il Nintendo WII ad agitare la racchettina virtuale nel vuoto come uno psicopatico? Con molto orgoglio vi posso dire che queste cazzate le ho fatte prima di moltissimi di voi. Grazie, grazie, basta applausi vi prego, arrossisco…
Anzi, pur essendo questa situazione di fatto sbagliata, voglio essere politically uncorrect: sono fermamente convinto che chi non vi si è mai trovato non può dire di essersi allenato con passione. E’ la passione che fa commettere questi errori, perchè è facile eccedere in quello che piace! Ok, negherò di averlo detto…
Ecco l’allenamento tipico che si vede in migliaia di palestre da Sandow ad oggi: faccio il lento dietro (dietro, mah…) alla panca alta con l’amico che fa da spotter. Completo le mie ripetizioni, poi quando non ce la faccio più il mio amico mi fa completare altre ripetizioni. Recupero, ripeto allo stesso modo.
Bene, quelle ripetizioni in più eseguite in ogni santa serie, sono spazzatura: volume ad intensità bassissima. Eh sì, lo so che non siete d’accordo, ma proviamo a rallentare l’esecuzione dell’esercizio.
Piazzo un carico sul bilanciere che stimoli quanta più massa muscolare possibile, diciamo con il 75% del massimale tanto per mettere qualche odiosa percentuale. Ad un certo punto non riesco a completare una ripetizione, ma posso comunque fare una ripetizione eccentrica completando la concentrica con l’aiuto dell’amico. Ok, questa ripetizione ha un senso per prolungare la durata dello stimolo. Però, poi, insisto con 2, 3 ripetizioni facendo fare tutto il lavoro allo spotter. Quelle ripetizioni allenano lui, non me.
Ma non è che sono gratuite: il mio sistema nervoso continua a mandare impulsi elettrici a muscoli che non si contraggono più, le mie cartilagini e i miei legamenti devono sopportare un carico non sorretto più dai muscoli stessi. Queste ripetizioni, ad una intensità infima perchè di sicuro il peso non lo muovo io, hanno un costo in termini di consumo di energia.
La serie successiva è analoga, e così tutte le serie dell’allenamento. Ma questa non è l’unica tecnica che crea spazzatura. Uno stripping con molti scarichi di peso dove si finisce con Kg ridicoli è spazzatura, un circuito praticamente aerobico è spazzatura, movimenti parziali con pesi immensi sono spazzatura, il cheating è spazzatura.

Non voglio essere frainteso: in generale, tutte le tecniche di intensificazione sono a rischio di creazione di spazzatura, per due motivi

  1. E’ necessario saperle padroneggiare bene in modo che l’intensificazione arrivi dritta nei muscoli bersaglio. Un esempio su tutti: chi esegue sempre movimenti parziali su archi di movimento via via più ridotti fornisce sempre meno stimolo ai muscoli, ma sottopone tutto il tessuto connettivo e le articolazioni a stress enormi.
  2. “Intensificare” significa “aumentare rispetto alla media”. Queste tecniche dovrebbero alzare il livello di impegno che di solito sviluppate. Se invece le utilizzate regolarmente, non state intensificando proprio un bel niente dato che quel livello di intensità è la normalità. Una vera contraddizione.
Questi strumenti non usati con coscienza e parsimonia sono un vero invito a generare un volume immenso di allenamento a bassa intensità sui muscoli ma comunque impegnativo per tutto il resto.
Generalizzando, la tecnica del “cedimento” cioè il tirare ogni serie alla morte, e oltre come sempre si osserva, ha il potenziale effetto negativo di poter essere usata anche con pesi ridicoli. Questo è dovuto all’errata concezione che la fatica muscolare e il dolore abbiano SEMPRE un effetto allenante. Il cedimento è una variante del “fare di più”, di semplice comprensione e ad effetto gratificante immediato.
L’esempio precedente era facile: tutti noi mega-esperti sappiamo che quella roba è solo una perdita di tempo. Noi, invece, mica siamo fessi. Noi programmiamo, noi variamo le intensità, noi usiamo parole come “microcicli”, “mesocicli” e “ciclizzare”. Mica friggiamo con l’acqua, noi.

Ecco perciò una scheda di forza fatta a modino, con il suo bravo buffer:

  • Una seduta di squat il lunedì
  • Una seduta di panca il martedì
  • Due giorni di riposo
  • Il giovedì una seduta di stacco e una di squat per incrementare il recupero in questo esercizio, serie a basse ripetizioni e percentuali relativamente basse. La seduta è detta feeder, “nutritiva” e serve, oltre a migliorare il recupero, a assimilare meglio la tecnica.
  • Un giorno di riposo
  • Una seduta di panca e complementari per la panca il sabato con un po’ di stacco feeder per recuperare meglio e prepararsi al lunedì successivo
  • Un giorno di riposo
La scheda ha una sua logica e si basa su informazioni attendibili. Allora, perchè genera spazzatura? Il punto di attenzione è l’adattamento di informazioni proprie del mondo sportivo alla palestra. Il sollevamento pesi è uno sport praticato da atleti, e di sicuro le schede che viaggiano su internet non sono quelle di colui che è arrivato quinto ad un campionato provinciale di uno staterello dell’ex Unione Sovietica, ma sono quelle del campione astrale Boris Abadajev. Sono adatte a voi?
Le sedute feeder creano comunque un volume di lavoro, presuppongono un riscaldamento, una preparazione, un impegno di tempo. Per quanto poi i Kg possano essere non elevati, voi quei pesi li spostate e… le vostre cartilagini li subiscono. Molte volte questa roba ha l’effetto opposto, creare fatica, e meglio sarebbe stare a casa.
Mettete poi che ci sarà quello che tira anche queste sedute e il quadretto è completo.
Generalizzando anche in questo caso, la tecnica del buffer, cioè non tirare le serie a cedimento ma incrementare il volume totale di serie, ha il potenziale effetto negativo di incrementare il volume di un dato esercizio o dell’intero allenamento, svolto però a bassa intensità. Questo è dovuto all’errata concezione che stare lontani dai propri limiti non crei stress organico.
In generale
La spazzatura nasce perciò da un duplice eccesso: carichi troppo bassi (eccesso negativo) e volumi troppo alti (eccesso positivo). Negli esempi sulla palestra è palese che la spazzatura si generi in molteplici modi e sono convinto che se analizzate qualche vostro fallimento, questi elementi li ritrovate a meno che non vi siate sottoallenati.
Questi esempi hanno in comune un tipico eccesso: associare il volume di lavoro al risultato. Perciò più volume, più risultato. Il volume di lavoro è la variabile di più semplice comprensione per chi si allena (e, mi raccomando, per chi allena!), ancora più immediata dell’intensità. “Ho fatto 50 volte questa cosa, l’altra volta ne avevo fatte 45, perciò sono più bravo”. “Fare di più” è un merito in qualsiasi ambito sportivo, quasi più che “farlo più forte”. Peccato che non si possa fare di più E più forte per troppo tempo
Sono errori classici ma banali: il “fare troppo” è un classico errore da principiante, che perciò non andrà in overtraining (OT) perchè farà il botto prima. Come descritto nell’angosciante articolo sull’overtraining, questo si manifesta come uno scadimento delle prestazioni, non in prestazioni sempre scarse!
Però l’intermedio o anche l’avanzato possono cadere in questi errori di volume più frequentemente di quanto si pensi.
Guardate il disegno: l’incremento (razionale) di volume V paga sempre sul breve, specialmente con il buffer, perchè è sempre vero che più stimolo equivale a più adattamento: l’organismo risponde sempre con un miglioramento, rappresentato dalla curva della performance P1. Il problema è che questo miglioramento può non essere sufficiente per contrastare tutto il volume a cui vi sottoponete. Se sul breve la risposta è positiva, alla lunga lo stress è troppo elevato e la curva vera non è P1 ma P2.
Immaginate che avete conseguito risultati con un programma di allenamento. E’ naturale aumentare il volume di quello che fate, no? Magari una seduta sola a settimana, con un programma modificato che si discosta “un po’” da quello di partenza. Vi prego, uscite dalla fottuta mentalità da palestra dove si vedono assurdità senza fine e calatevi in un contesto più da sport: sto descrivendo comportamenti leciti, per questo pericolosi. Lasciate le idiozie a quelli che cercano gli addominali quadrettati, per favore.
Se è difficile far salire l’intensità di picco, è possibile sempre far salire quella media, alzando il numero di volte che fate una cosa, piuttosto che farla più intensamente. Per dare due numeri, è più facile passare da 4x6x70% a 5x6x70% rispetto a 4x4x80%. Per questo anche atleti molto forti alla fine deragliano verso un eccesso di volume.

Un viaggio nella discarica – la discesa della Morte.

Supponete che vi state allenando in maniera perfetta, nella zona della qualità. Ad un certo punto, per una gara, un test, un allenamento pianificato, un microciclo o per fare una cazzata per sentirvi giovani, date gas e vi allenate ad una intensità superiore al solito. Nei due disegni qua sopra questa situazione è rappresentata dal pallino che esce dall’area viola, che vada nella zona delle scottature o nella zona proibita non è rilevante, né è rilevante il livello che potrebbe essere più basso.

In entrambi i casi, prima (nel caso a destra) o poi (nel caso a sinistra) dovrete rallentare con l’intensità. Lo farete perchè vi stancherete, perchè non recupererete, perchè vi farete male, però sarete costretti a scalare le marce.
Diciamo che voi siete così bravi da tornare ad allenarvi per benino, del resto avete ottenuto dei risultati anche insperati.
Ma proprio per i risultati insperati, per aver scoperto che quelli che pensavate limiti in realtà non lo sono,per il piacere di andare alle proprie passioni… dopo aver recuperato, date gas di nuovo.

Ma avete imparato dai vostri errori e perciò siete più accorti. Ottenete ancora dei risultati, fino a che la fatica non si fa sentire e voi dovete rallentare di nuovo. A questo punto però innescate un meccanismo perverso che schematizzo come nel disegno seguente.

Seguite le frecce e i pallini: in pratica voi vi allenate sul confine, alternando momenti ad intensità più alta con momenti a minor intensità che però compensate con un volume di lavoro maggiore. Complessivamente, però, le prestazioni hanno uno scadimento dato che l’intensità decresce, e il finale è che vi piazzare nella discarica. Et voilà, avete percorso la discesa della Morte.
Accade questo quando volete compensare un eccesso con un altro eccesso: ad un eccesso di intensità segue un eccesso di volume. E’ interessante notare che solo le persone con una certa esperienza di allenamento riescono a finire nella discarica: è necessario infatti conoscersi abbastanza bene per riuscire ad allenarsi sempre al limite pur ottenendo risultati decenti.
Questi comportamenti sono frequenti negli sport di endurance dove vi è la possibilità di generare volumi di lavoro altissimi mixata con una concezione eroica del sacrificio.
Come può accadere? Ad esempio: mi alleno tirando di più, faccio un paio di garette e vedo che arrivo benino, staccando il solito borioso con la bicicletta più costosa della mia. Perciò, insisto. Ma poi devo smettere perchè non ce la faccio, devo rallentare. Mi girano le sfere e allora dico: “ok, vado più piano, ma già che ci sono aumento un po’ i Km per non perdere”. La frase “per non perdere” è quanto di più devastante possa esistere in ambito sportivo.
Dato che sono allenato, scalando l’intensità ho un recupero, perciò dopo poco posso tornare a tirare. Però avrò un picco prestativo un po’ inferiore perchè sono comunque stanco. Picco inferiore ma maggior abitudine al volume di lavoro: il picco sarà inferiore ma posso tenerlo per più tempo. Un esempio inventato: non faccio più quella salita ripida nel tempo dell’altra volta, ma posso farla due volte ad un tempo mediamente migliore e in una garetta a circuito va bene lo stesso, anzi, è addirittura meglio!.
Ma la stanchezza si fa nuovamente sentire, perciò devo calare di nuovo. Et voilà, ho innescato la discesa.
Questo tipo di comportamento si ritrova, in varia forma, nell’evoluzione degli allenamenti di moltissime persone che non pianificano mai niente, vanno completamente ad istinto, seguono gli allenamenti di altri, pretendono di essere sempre al massimo della forma.
Ricordatevi: quelli che ottengono con l’allenamento istintivo sono persone molto particolari, e di solito scrivono articoli o sono intervistati da qualcuno. Fate caso che gli articoli e le interviste riguardano sempre le solite persone. Tutti gli altri non scrivono o non vengono intervistati perchè a nessuno interessano allenamenti fallimentari.
L’assenza di uno straccio di obbiettivo, di schema di allenamento porta solitamente in coloro che “ce la mettono tutta”, a una discesa di prestazioni pur vomitando organi interni e, ancor più preoccupante, senza capire il perchè.
La discesa nella morte è un buon inizio per un overtraining con i fiocchi.
Dal Paradiso all’Inferno
L’OT è subdolo perchè non nasce necessariamente da un allenamento sbagliato. In questo caso parto da una condizione ottimale, mi sto allenando alla perfezione, per una gara, per andare al mare, per fare il culo al tizio grosso che mi ha fottuto la ragazza. Insomma, che io stia per partire per il World Games o prepari la garetta in palestra, sto veramente allenandomi da Dio, come nel disegno in alto.
Ad un certo punto, mi ammalo, un banale raffreddore ma devo prendere gli antibiotici. Oppure mi metto a dieta per definirmi, o mi infortuno in maniera non grave ma che mi impedisce di allenarmi, o ho un periodo di lavoro o di studio molto stressanti e impegnativi. Le mie risorse organiche ne risentono, perciò non sono più in grado di sopportare gli stessi allenamenti di prima. Come si vede nel secondo disegno, la curva si affossa, perchè il totale delle mie energie psicofisiche diminuisce.
Un allenamento prima ottimale diventa proibitivo perchè io non sono quello di prima. Posso scalare intensità e lavoro in maniera intelligente, come posso forzarmi a tenere quell’allenamento ora non più fattibile.
Il comportamento in queste situazioni è tipicamente quello di non voler rinunciare a nulla, a non voler capire che il corpo umano ha dei limiti. Pensateci, fate così anche voi. Se siete un atleta professionista non potete mollare perchè avete dei contratti da onorare, se siete un tizio qualunque non volete semplicemente cedere dopo tutto il culo che vi siete fatti. Nel primo caso sono pressioni psicologiche oggettive: nessuno vi obbliga, potete sempre smettere, ma se lo fate perdete molto, e questo è un freno mentale a riposarvi. Nel secondo caso veramente potreste smettere ma sappiamo tutti che la mente non è così lineare.

Comunque sia, prima o poi dovrò diminuire qualcosa. Probabilmente ecco cosa accade.

Poiché non mi va di dover mollare per un motivo che non dipende da me, varierò l’allenamento ora troppo pesante quanto basta perchè diventi fattibile, piazzandolo al confine della zona proibita, e compenserò la fatica che questo comunque mi procura diminuendo l’intensità dell’allenamento meno impegnativo, alzandone però un po’ il volume, “già che tiro di meno”.
Ecco così un possibile innesco di discesa verso la discarica: un allenamento prima ottimale che si trasforma in qualcosa di borderline.
Siete coscienti delle vostre energie?
Vi prego di tenere a mente questo schema perchè l’OT inizia molte volte proprio in questo modo: non siete voi che chiedete troppo al vostro corpo con l’allenamento perchè questo è ben calibrato, ma è l’ambiente che congiura contro di voi drenando le vostre energie.
Se siete coscienti che questo è accaduto, avete buone possibilità di agire per rimediare: sapere che è successo qualcosa che pregiudica l’allenamento permette di essere più attenti ai segnali del vostro corpo.
Ma… lo avete capito che è successo qualcosa? Siamo portati a considerare l’allenamento come del tutto scorrelato dall’ambiente, di cui abbiamo una percezione vaga. In realtà il livello totale delle energie dipende anche da tutto il resto.
Vi propongo un classico caso in cui si tengono scorrelati gli stimoli quando invece sono strettamente legati.
Restrizione calorica, allenamenti intensi: i “giri” sono due, ma non sono indipendenti. Il mettersi a dieta ha un impatto sull’allenamento e viceversa.
Sicuramente l’effetto può essere positivo, ma, fidatevi, sicuramente sarà negativo. Avete mai trovato qualcuno che dice “mangio come un porco perchè voglio diventare 100Kg di muscoli per sollevare di più e me ne sbatto se prendo chili di lardo”?. No, di solito si vuole essere forti E definiti, insieme.
L’innesco dell’OT è mettersi a dieta per definirsi ma non voler perdere i risultati acquisiti, perciò l’allenamento non viene variato di conseguenza perchè non si ha la percezione del legame stretto fra alimentazione ed allenamento.
Attenti: questo è veramente un buon innesco di OT, se con il solo allenamento fate i fuochi d’artificio, se aggiungete anche la dieta potete far saltare un palazzo. Diverse persone che conosco sono riuscite a bruciare chili e chili di muscoli con questo giochino.
La spazzatura è subdola
Spero di aver presentato degli esempi sufficientemente reali da essere considerati veritieri. Queste cose accadono, molto spesso. La spazzatura è subdola perchè è come se gli allenamenti ci rotolassero dentro. Il problema non è tanto l’esserci dentro, ma il fatto di tendere ad andarci. Non c’è bisogno di arrivare ad essere immersi fino alla bocca, basta dirigersi verso di essa per far scadere l’allenamento.
Ripeto: non fatevi fregare dal disegno, è una rappresentazione, nessuno può definire correttamente le zone che ho descritto, anche se esistono.
Se avete conseguito risultati interessanti nei vostri anni di allenamento il vostro livello prestativo minimo può essere molto alto per la media delle persone che frequentano la palestra. Se avete 180Kg di stacco, un allenamento ad alte ripetizioni con 110Kg-120kg è sicuramente fattibile senza impegno, ma state spostando sempre 120Kg, con un impatto sul vostro corpo.
Più siete forti, più la spazzatura è dannosa. Più siete forti, più potete innescare delle discese se non state attenti. Perciò sono a forte rischio gli atleti intermedi, gente forte ma non ancora cosciente dei propri limiti e delle proprie potenzialità.
Avete l’arma, disinnescatela.
Perchè tutto questo non accada dovete comprendere, intimamente, che per ottenere risultati, in qualsiasi sport, è necessario interiorizzare che non si può sempre tirare tutto al massimo, ma che più siete forti e più le prestazioni avranno un andamento “a picchi”.
Dovete imparare ad alternare le fasi di carico, i periodi di intensificazione con quelli di riposo, in modo da avere il picco di prestazioni quando vi serve e comunque far salire nel tempo i vostri livelli di performance. In altre parole, è necessario allenarsi “con qualità” ma qui si aprirebbe un altro capitolo immenso…
Sembra impossibile ma l’idea migliore per non eccedere è avere un programma e seguirlo, al meglio. Se avete toppato un allenamento, non dovete rifarlo, né dovete intensificare il successivo. Dovete, invece, canalizzare la vostra aggressività nel voler fermamente eseguire al meglio (come da programma) il successivo. Dovete sforzarvi di fare bene quello che avete detto di fare, non di più, non di meno. Provateci, è difficile perchè prevede che sappiate anche scrivere un’idea buona di quello che andrete a fare.
Questa è la tecnica: avere un buon programma e seguirlo è sempre molto più vantaggioso che non avere niente ed andare a ad istinto, perchè è facile eccedere.
Sappiate che il problema degli allenamenti spazzatura è tale anche per atleti molto evoluti, proprio perchè nasce dalla spinta interiore a fare sempre meglio, e “fare di più” è sempre gratificante, come una specie di droga. Posso eccedere anche con il miglior programma di allenamento se non riesco a modularlo in funzione del mio stato di forma.
Non riesco a darvi dei consigli innovativi, se non i soliti che conoscete alla nausea (programma, diario, analisi dei risultati… dài.. che palle). I consigli sono sempre i soliti perchè… funzionano alla grande se riuscite a sfruttarli.
Specialmente se siete degli intermedi, dovete stare attenti, dovete sempre avere in mente ciò che fate e perchè lo fate. Ogni volta che volete fare di più chiedetevi: “a che mi serve?”, “ha senso quello che voglio fare?”.
Se questo modo di ragionare all’inizio può sembrare stupido, dovete cercare di farlo vostro. Sviluppate capacità di autoanalisi, e fate tesoro delle inevitabili discese della Morte che percorrerete: la conoscenza vi farà scendere senza inciampare o rotolare, ma non potete evitare qualche scivolata.
E’ il prezzo da pagare per la vostra passione.
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